Fulvio Abbate: “La Grande Bellezza? Grande C***ata. Colpa di Roma”

Fulvio Abbate: "La Grande Bellezza? Grande Cacata. Colpa di Roma"
Sabrina Ferilli, fra i protagonisti de La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino (LaPresse)

“Sono andato ieri a vedere La Grande Bellezza, il film di Paolo Sorrentino, un film su Roma. Vorrebbe essere, dico molto semplificando, una sorta di nuova Dolce Vita. Non più dolce, bensì avvelenata. Da Roma stessa. Ma anche dalla percezione di un tempo che non consentirebbe più una vera forma di trasecolamento poetico individuale.

Il film, lo diciamo subito, è fallito nel suo obiettivo. È fallito sia nella sua necessità o ipotesi neo-neo realistica, iper-realistica – se vogliamo. Ma è fallito pure nella sua lettura ed evidenza surrealistica di un qualcosa che va oltre il dato reale, e quindi andrebbe letto come una metafora, che muove da Roma – e sia pur non rinunciando al proprio specifico: il cinismo, il paganesimo che questa città (dove personalmente vivo da 30 anni) custodisce – beh, è fallito sia sul piano di un racconto neo-neo realistico, sia sul quell’altro piano, di un volo metaforico allegorico.

È fallito sia sul piano della carta d’identità – con la sua fototessera evidente – della meschinità romana, capitolina. Sia nel caso che volesse riproporre, come mostri di Bomarzo, la mostruosità cittadina. È un film mancato, e adesso spiego meglio le ragioni.

Il personaggio principale, il personaggio di questo scrittore mondano, che annulla se stesso nella propria stronzitudine, che è un campano, un napolitano trapiantato a Roma, beh: nel caso che volesse ispirarsi a uno scrittore napoletano – che da molti anni questa città ospita – che si contraddistingue per un suo foulard al collo, in questo caso sarebbe assolutamente fallito il calco.

Perché Roma nulla custodisce di mondano. Magari esistesse questo inferno di sbadata idiozia. Roma risponde anche nelle sue vette sociali più alte alla miseria palazzinara, a un bocchino che non sarà mai in grado di trasformarsi in una preghiera.

Roma è un aggregato di misere piccole borghesie. Non per nulla per molti anni è stata assai bene incarnata dai costruttori democristiani e dai costruttori comunisti. Cos’altro vuoi tirare fuori dalla rapa romana?

Qualcuno ha detto: in Fellini, la Dolce Vita alla fine diventa una sorta di assunzione in cielo, nel cielo della poesia, del linguaggio poetico, di un qualcosa di straordinario, che trascende il suo tempo stesso.

Nella Grande Bellezza, che potremmo anche dire La Grande Cacata, nulla di tutto questo accade […] Roma non riesce a far volare una sola metafora, un solo paradosso, perché Roma corrisponde pienamente alla sua miseria piccolo borghese, e il film di Sorrentino non riesce a spiccare nel suo volo, né dal punto di vista neo realistico né da quello di un monumento al grottesco”.

Fulvio Abbate, “Il film di Sorrentino, La Grande Bellezza? Magari fosse brutto”. Teledurruti, 23 maggio 2013.

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