Antonio Socci su Papa Francesco? Ciarpame senza pudore: Maurizio Crippa, Foglio

Antonio Socci su Papa Francesco? Ciarpame senza pudore: Maurizio Crippa, Foglio
Antonio Socci su Papa Francesco? Ciarpame senza pudore: Maurizio Crippa, Foglio

ROMA – “Non è Francesco”, il libro di Antonio Socci contro Papa Francesco? “Ciarpame senza pudore”: scrive Maurizio Crippa del Foglio, giornale diretto da Giuliano Ferrara, che in passato non aveva risparmiato critiche all’operato di Jorge Mario Bergoglio.

Ma stavolta fra il giornale di Ferrara e Socci non c’è molta sintonia. Secondo Crippa il libro di Socci è “è una cosa a metà tra il fantasy allucinogeno che rifiuta l’evidenza empirica e la panzana sedevacantista. Su Giussani, poi, una vera porcata“.

Così Crippa recensisce il libro in uscita per Mondadori oggi, venerdì 3 ottobre:

Nel suo primo fanta-thriller vaticano, estremo fin dal titolo, “I giorni della tempesta”, Antonio Socci aveva immaginato che san Pietro non riposasse lì, nella sua bimillenaria tomba, dove persino Paolo VI aveva dichiarato che invece riposa (“abbiamo ragione di ritenere che siano stati rintracciati i pochi, ma sacrosanti, resti mortali”, 26 giugno 1968), ma che invece il Principe degli apostoli starebbe in qualche posto dalle parti di via dell’Acqua Bullicante, dietro ai prati di “Accattone”. E bon. Spiace un po’ perché alla tomba di Pietro sotto l’altare di Pietro ci si era affezionati. Ma hai visto mai che una mistica di Viareggio ne sappia più del Papa? Almeno, la suspense reggeva. Ma adesso, al secondo fanta-thriller, se pure il titolo è ben trovato, “Non è Francesco”, il plot puzza come un polpettone avvelenato. Papa Ratzinger non si è mai dimesso, farebbero fede il fatto che ancora si vesta di bianco, che abbia mantenuto stemma e firma. E il nome di Papa emerito? Già qui l’adorabile meccanismo di sospensione dell’incredulità, tanto caro anche a san Tommaso, quello che ci farebbe divertire pure davanti a “Godzilla contro Madre Teresa”, è bello che saltato. Basta prendere atto che non essendosi mai vista una dimissione di Papa di codesta natura negli ultimi 2000 anni, tutto quel che accade, accade come nuovo. Sarà ancora Papa, un Papa emerito? Magari sì, ma questo non significa che non si sia anche dimesso.

Se l’incipit è tirato per i capelli, la seconda trovata leverebbe lo scalpo a un calvo. Potremmo chiamarla “lascia o raddoppia?”. Francesco non è mai stato eletto Papa. Alla votazione fatidica c’era per errore una scheda in più, la votazione fu rifatta ma non andava rifatta in quella piovosa sera. Dunque elezione invalida. E nella notte, chissà poi perché, la candidatura di Bergoglio avrebbe perso peso. Il Macguffin, come lo chiamava Hitchcock, cioè la stronzata di nessun conto attorno a cui però gira il racconto, sarebbe l’articolo 69 del Regolamento generale di elezione dei Papi. Ma anche un Macguffin dev’essere un po’ credibile, per reggere. E invece basta aver letto l’articolo 68, che viene prima, quello che prescrive che nel caso il numero delle schede non corrisponda al numero degli elettori “bisogna bruciarle tutte e procedere subito ad una seconda votazione”, come fu fatto, e la sceneggiatura è bella che andata. Bergoglio fu eletto, il resto sono barzellette da sedevacantisti: cioè i più fuori di testa fra tutti i tradizionalisti.

Spiace perché Socci è un bravo scrittore. Ma per il terzo episodio farebbe meglio a ricordarsi di una massima di Aristotele che, sono certo, gli è ben nota e un tempo almeno gli fu anche cara: “E’ da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che l’evidenza dimostra come fatto”. (Topici I, 11, 105a 3-7). C’è un Papa che s’affaccia alla finestra, buongiorno e buon pranzo, dice l’Angelus, nomina cardinali, convoca sinodi. E c’è un Papa emerito altrettanto vestito di bianco che sta nel recinto, coltiva fiori, legge libri. Uno regna, l’altro no. Non esplodono nemmeno, quando si incontrano. Sta esplodendo la chiesa? Questo può sempre accadere, e nel passato è successo anche di peggio, ma chi siamo noi per dar fuoco alla miccia? E in ogni caso, non accadrà certo per una concatenazione di cazzate da sedevacantisti e teologi del controsenso come quelle che Socci mette in fila, facendo pure bella mostra di crederci. “E’ da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che l’evidenza dimostra come fatto”. Invece fino a pagina cento e passa il plot di Socci non è altro, per citare la nostra amatissima santa Veronica da Macherio, che “ciarpame senza pudore”.

[…] Socci è così sincero, nei suoi astratti furori, che non riesce a dissimulare una fanciullesca partigianeria: avessero eletto un suo preferito, uno di quei cardinali tutti controcazzi e dottrina, non avrebbe fiatato. Ma questo è andare in gondola sul Banal Grande. Così come sgomenta l’eccesso di presunzione: “Se si comincerà a discutere dell’invalidità della sua elezione, Bergoglio potrebbe (e dovrebbe) afferrare al volo questa scialuppa di salvataggio che la Provvidenza gli offre come occasione per fare un passo indietro e tornare in Argentina. Sarebbe tutto sommato un’uscita di scena onorevole”. Fino al cattivo gusto di tirar fuori pure i problemi polmonari di Bergoglio. E questo sarebbe lo stesso Socci che ha passato la vita a rampognare chiunque dicesse una parolina in dissenso dai Papi?

E poi per che cosa? A leggere tra le righe storte e pure tra quelle dritte di Socci, tutto si riduce alla speranza fantascientifica di tornare al passato e a quella, lecita ma opinabile, di poter mettere sul trono uno della schola cantorum ratzingeriana, uno dei discipuli della classe morta di Communio.

[…] Dopodiché. Uno può anche avercela con Papa Francesco, è legittimo, come Socci si affretta ad excusarsi, non petito. Ma per dei contenuti reali. Magari solo perché si fa chiamare Francesco. Ma arrivare a sostenere che quella del cardinale argentino sia stata una “scelta inspiegabile”, quando tutti sanno che Bergoglio fu il più votato dopo Ratzinger la volta precedente, e che con quaranta voti (senz’altro più di quelli raccattati da Scola all’ultimo Conclave, ma che tanto appassionano Socci fino a farli lievitare a quasi cinquanta) Bergoglio avrebbe potuto anche bloccare l’elezione di Benedetto XVI. Invece si ritirò. Di che stiamo parlando dunque? Da dove tracima questo odio che non trova di meglio che aggrapparsi a delle panzane clericali per attaccare il Papa?

[…] La comunione ai divorziati è l’articolo 18 della chiesa, un dettaglio di interesse minore, attorno a cui però si giocano assetti di puro potere ecclesiale. E Socci ci propina tutta, ma tutta, la panna montata del nuovo intransigentismo di maniera. Ci inonda con le ridicole angosce ultramontaniste per il trionfo (trionfo?) dei “neo papalini”, i cantori interessati di Francesco. Non sfugge all’ossessione veterociellina per Scalfari. L’ossessione che il vecchio Barbapapà sia l’Anticristo conteneva una sensazione di leggera follia già trent’anni fa. Figuriamoci oggi. Comunque, il gran complotto che Socci vede sta tutto nelle coordinate del pensiero tradizionalista più vieto. Kasper, il nuovo demonio, è “la mente teologica dello ‘spartito’ che ha prevalso nel Conclave del 2013”. Ma cazzo, un po’ di laicità e di senso della storia! In Conclave una volta vince un partito, una volta l’altro, dov’è la sorpresa? Avesse vinto l’altro, pare di capire che per Socci il Conclave sarebbe stato validissimo e la mente teologica prevalente gli sarebbe sembrata perfetta. Anche se poi i cristiani avessero continuato a scappare a gambe levate dalla chiesa, come capita in Austria, o in Canada, o in Australia. Che importa? Adesso basta dire che la crisi è tutta in Argentina. Il tifo funziona allo stadio, qui è umorismo involontario.

[…] “Però la dottrina cattolica è l’intelligenza dell’avvenimento cristiano”. “Senza la dottrina, un annuncio vero del Vangelo… il messaggio di Papa Bergoglio rischia di venire recepito come un ‘liberi tutti’ rispetto alla dottrina cattolica e al pensiero cattolico”, va a concludere Socci. Ma senza un annuncio vero e che liberi tutti, il cristianesimo rischia di morire nel veleno delle regole. Non è scontato neppure domandarsi perché Socci non faccia patrimonio di questa intelligenza per guardare con più lucidità la situazione della chiesa. E magari evitare di usare l’intelligenza dell’avvenimento cristiano che fu propria di don Giussani in modo così parziale (che senso ha cavare una sua frase sul Sillabo, a inizio libro? E’ come voler estrapolarne una di Emma Bonino a favore delle mamme), e soprattutto per scagliarlo come un’arma contro il Papa. Giussani non l’avrebbe mai fatto né permesso, e questa è una porcata inaccettabile.

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