Oltretomba: Memorie di Chateaubriand, naufragio completa lista Björn Larsson

Björn Larsson, "pochi i veri scrittori di mare". Un naufragio di Chateaubriand vale mille autori
J. M. W. Turner: Fishing Boats Entering Calais Harbor, 1803

ROMA – Björn Larsson, “pochi i veri scrittori di mare”. Dimentica Chateaubriand. Forse un po’ sbrigativamente, lo scrittore svedese Björn Larsson ha compilato il suo personale inventario di autori “che parlassero veramente di mare” trovandone, per sua stessa ammissione, ben pochi. Nel suo “Diario di bordo di uno scrittore” cerca di sviluppare il punto di vista di chi come lui crede che non basta navigare per raccontare il mare.

Giusto, e gli fa onore, visto che lui stesso è navigatore provetto, e alcuni dei suoi romanzi sono stati concepiti e scritti sulla sua barca a vela. Secondo Larsson nemmeno lo stile è sufficiente a giustificare l’adesione a un non ben precisato spirito marino. Per cui, nonostante una letteratura sterminata, ne ha individuati così pochi che si contano sulle dita di una mano.

A parte le eccezioni universalmente note, Conrad, Stevenson, London, Melville, ho trovato ben poco. […] Un gran numero di testi ha senza dubbio qualità letterarie, ma più sotto il profilo della scrittura che dell’immaginario. In secondo luogo, quattro scrittori, di cui tre velisti da diporto, e cioè Jules Verne, Alexandre Dumas, Maupassant e Victor Hugo, riempiono da soli circa la metà delle milleduecento pagine. (Björn Larsson, La Repubblica).

Almeno per quanto riguarda la letteratura francese, ci permettiamo di consigliare a Larsson un passo celebre delle Memorie d’Oltretomba di René de Chateaubriand, lo scrittore nato davanti alla Manica a Saint Malo: è il racconto, veritiero, del naufragio occorsogli durante il viaggio di ritorno in Europa da New York. Poche pagine che non rivelano solo uno stile inimitabile, a patto, fra l’altro di concedere allo stile giusto il ruolo di vestito buono per la festa e non l’abito mentale che distingue una vera personalità letteraria.

[…] Eravamo entrati nella Manica senza accorgercene; il vascello, che vacillava ad ogni ondata, andava alla deriva fra l’isola di Guernesey e quella di Aurigny. Il naufragio parve inevitabile, e i passeggeri strinsero a sé, per salvarlo, quanto avevano di più prezioso. C’erano nell’equipaggio alcuni marinai francesi; visto che mancava il cappellano, uno di loro intonò il cantico della Madonna del Soccorso, primo insegnamento della mia infanzia; io lo ripetei alla vista delle coste della Bretagna, quasi sotto gli occhi di mia madre.

I marinai americani protestanti si univano di cuore ai canti dei loro compagni francesi cattolici: il pericolo fa capire agli uomini quanto siano deboli e unisce le loro preghiere. Tutti, passeggeri e marinai. Erano sul ponte, chi aggrappato alle sartie, chi al fasciame, chi all’argano, chi alle marre delle ancore, per non essere spazzato via dalle ondate o precipitato in mare dal rollio. Il capitano gridava “Un’ascia! Un’ascia!” per tagliare gli alberi; e il timone, la cui ruota era stata abbandonata, girava su se stesso con un rumore rauco.

Un tentativo restava da fare: lo scandaglio dava ormai soltanto quattro braccia su di un banco di sabbia che traversava il canale; era possibile che un’ondata ci permettesse di superare il banco e ci portasse in acque profonde: ma chi avrebbe osato prendere il timone e farsi carico della comune salvezza? Una manovra sbagliata ed eravamo perduti. Uno di quegli uomini che scaturiscono dagli eventi, e che sono i figli spontanei del pericolo, si fece avanti: un marinaio di New York prende possesso del posto abbandonato dal pilota.

Mi sembra ancora di vederlo mentre, in camicia e pantaloni di tela, a piedi nudi, coi capelli scompigliati e grondanti, serrava tra gli artigli il timone, e, con la testa girata, guardava a poppa l’ondata che doveva perderci o salvaci. Ed eccola venire, un’onda che avanzava alta senza frangersi abbracciando tutta la larghezza dello stretto, simile a un mare che invade i flutti di un altro mare, grandi uccelli bianchi, dal volo calmo, la precedono come uccelli della morte.

La nave toccava il fondo e tallonava10; si fece un profondo silenzio; tutti i volti illividirono. L’ondata ci raggiunge: nel momento in cui ci viene addosso, il marinaio dà il colpo di timone; il vascello, sul punto di rovesciarsi sul fianco, ci solleva. Buttano lo scandaglio: segna ventisette braccia. Un urrah sale fino al cielo, accompagnato dal nostro grido “Viva il re!” che non fu udito da Dio per Luigi XVI; esso giovò a noi soltanto. […] (René De Chateaubriand, Memorie d’oltretomba, Einaudi-Gallimard).

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