“Così finisce la democrazia”. David Runciman racconta paradossi, presente e futuro di un’istituzione imperfetta

"Così finisce la democrazia". David Runciman racconta paradossi, presente e futuro di un’istituzione imperfetta
“Così finisce la democrazia”. Il libro di David Runciman

ROMA – “La democrazia occidentale supererà la crisi di mezza età. Se siamo fortunati, ne uscirà un po’ ridimensionata; è difficile che riprenda slancio. Dopotutto, questa non è la fine della democrazia. Ma è così che la democrazia finisce.”

David Runciman – docente di Scienze politiche a Cambridge – costruisce questo periodo per chiudere le conclusioni del suo libro “Così finisce la democrazia”, edito in Italia da Bollati Boringhieri; ed è una sorta di previsione monito, tra ottimismo e pessimismo, che se per un verso fa guadagnare tempo alla democrazia posticipando il giorno del giudizio, da un altro invece ne segna il potenziale lento declino.

Fondamentalmente sono due i temi attorno ai quali ruota il saggio: le cause che potrebbero far fallire la democrazia e le eventuali alternative ad essa. In questa prospettiva Runciman sceglie di strutturare il suo ragionamento su quattro capitoli, dei quali tre sono dedicati alla prima questione, ed uno, l’ultimo, che abbraccia la seconda.

“Il difetto lampante di qualsiasi analogia tra la vita dei regimi politici e quella degli esseri umani è che pressappoco sappiamo quanto può vivere una persona, o almeno crediamo di saperlo. Con gli Stati invece non ne abbiamo idea. Il fatto che la democrazia ateniese sia morta a duecento anni di età non significa che questa sia la condizione naturale di tutte le democrazie” (pagina 28).

Una delle tesi del libro, che in buona misura ne plasma i contenuti, sostiene la necessità di guardare alla democrazia da un punto di vista nuovo, capace di sostituire modelli interpretativi logori: “il nostro immaginario politico è fermo a un’iconografia datata del fallimento democratico. Siamo intrappolati nello scenario del XX secolo. Per capire cosa succede quando la democrazia si sgretola, ci serviamo di immagini che risalgono agli anni trenta o agli anni settanta del Novecento” ( pagina 8).

Runciman propone quindi una chiave di lettura diversa, con la quale ridefinisce i confini della scienza politica, pone l’attenzione su fattori che rendono la crisi attuale diversa da quella passata, e si interroga sulla possibilità che una democrazia frani pur rimanendo intatta; un impianto riflessivo all’apparenza contraddittorio, ma che durante la lettura matura verso un punto di equilibrio, dal quale l’organizzazione del libro prende progressivamente forma.

“Le democrazie forti sono avvantaggiate rispetto a quelle deboli tranne che per un aspetto: le democrazie deboli sanno quando falliscono” (pagina 57).

“Colpo di Stato”, “Catastrofe” e “Sopravvento della tecnologia” sono i titoli dei primi tre capitoli, ovvero gli indicatori che Runciman considera più significativi per misurare lo stato di salute della democrazia. Inevitabile allora che le pagine si riempiono di quei fenomeni che maggiormente caratterizzano la nostra società. Tirannie, guerre, violenza, disuguaglianze, conflitti, calamità, inquinamento, robot, intelligenza artificiale, social network, criptovalute e tecnologie digitali, divengono alcune delle questioni che intrecciandosi tra di loro compongono lo schema di lettura utilizzato da Runciman in un continuo confronto-scontro con la democrazia.

Ma “Così finisce la democrazia” non è un saggio che intriso di attualità imprigiona la lettura nel presente; anzi: sviluppando una sostanziosa parte dedicata al futuro, inteso in questo libro soprattutto come analisi di modelli alternativi alla democrazia, pone la riflessione su di un piano inedito, nel quale, la suggestione del soluzionismo abdica a favore di una pragmatica presa d’atto che i rimedi per guarire la democrazia del XXI secolo stentano ad emergere.

Tuttavia, nel quarto ed ultimo capitolo – “Qualcosa di meglio?” – non mancano i tentativi di ragionare su alcune alternative. “Oggi la democrazia rappresentativa è stanca, rancorosa, paranoica, illusa, lenta e spesso inefficace. Per la maggior parte del tempo vive di gloria passata. Questa triste situazione rispecchia ciò che siamo diventati, ma non è intrinseca all’essere umano. La democrazia è solo un sistema di governo, che abbiamo costruito noi e che possiamo sostituire. Quindi perché non la sostituiamo con qualcosa di meglio?” (pagina 145).

E se Winston Churchill viene ovviamente citato con la sua famosa frase sulla democrazia – “il peggior sistema di governo a parte tutti gli altri sistemi che sono stati sperimentati nel tempo” – Runciman sceglie di offrire al lettore tre opzioni di modelli, iniziando con l’autoritarismo pragmatico, seguito dall’epistocrazia – ovvero “il governo delle persone che sanno cosa fare” (pagina 157) – per poi finire con la tecnologia libera. “Le prime due presentano aspetti positivi, ma in definitiva non reggono il confronto con la democrazia, nemmeno nelle condizioni precarie in cui si trova oggi. Sono tentazioni, più che alternative. La terza è diversa. Comprende futuri potenziali di ogni sorta: alcuni meravigliosi, altri terribili, quasi imperscrutabili” (pagina 177).

Io di rimedi non ne ho, ci dice l’autore nelle conclusioni. Ciò che ci lascia sono alcuni insegnamenti, che “non vogliono essere una guida per il futuro, ma un modo per capire dove ci troviamo ora. Non importa come finiremo, per prima cosa dovremmo sapere da dove partiamo” (pagina 186).

Nel libro c’è pure spazio per un epilogo di poche pagine, dal titolo provocatorio: “20 gennaio 2053”. Washington, il nuovo presidente Li, di origini cinesi, si insedia: “sul palco erano state drappeggiate vere bandiere americane, non quelle virtuali che sventolavano negli anni precedenti. Il presidente disse che la sua elezione segnava la restituzione del potere dai proprietari dei social network mondiali ai rappresentanti del popolo a Washington. Le decisioni che riguardavano tutti gli americani sarebbero state prese nell’interesse di tutti gli americani. Ricordò al pubblico che gli Stati Uniti d’America erano ancora, e prima di tutto, una democrazia. E lo sarebbero sempre stati. Mentre lasciava il palco, qualcuno sentì un ex presidente sussurrare alla vicina di posto: «Questo qui protesta troppo»” (pagina 193).

Paradossi, presente e futuro di un’istituzione imperfetta.

“Così finisce la democrazia. Paradossi, presente e futuro di un’istituzione imperfetta” di David Runciman, Bollati Boringhieri, pp. 224, € 23,00

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