Cristianesimo, il silenzio nella sua storia, saggio Diarmaid Macculloch,da prima del mondo ai monaci

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 22 Agosto 2021 - 10:43 OLTRE 6 MESI FA
Cristianesimo, il silenzio nella sua storia, saggio Diarmaid Macculloch,da prima del mondo ai monaci

Cristianesimo, il silenzio nella sua storia, saggio Diarmaid Macculloch,da prima del mondo ai monaci

“Il silenzio nella storia del cristianesimo”, scritto da Diarmaid Macculloch, è un saggio apparentemente di nicchia che si rivela alla portata di tutti. Certo, un minimo d’interesse per il tema deve esserci, ma non è fondamentale. Basta un po’ di curiosità ed il godimento è garantito.

Prima di entrare nel libro però, qualche notizia sull’autore ed alcuni dettagli sull’edizione. Diarmaid Macculloch è un ex diacono. Membro del St. Cross College di Oxford, è professore di Storia della Chiesa all’Università  di Oxford. Nel 2012 è stato nominato cavaliere. Vive a Oxford ed ha vinto molti premi prestigiosi, tra i quali il Whitbread Biography Prize, il James Tait Black Prize e il Duff Cooper Prize. 

Il volume è uscito in Italia nel 2019 per la casa editrice Neri Pozza nella collana “I colibrì”. Formato compatto, rilegato in brossura, 337 pagine in tutto.

Si divide in quattro parti: “La Bibbia”, “Il trionfo del silenzio monastico”, “Il silenzio attraverso tre riforme” e l’ultima, “Oltre lo schermo del rumore nella storia cristiana”.

Dunque, il silenzio nel cristianesimo. Via qualsiasi titubanza, questo saggio può appassionare chiunque, anche un ateo. Lo scenario – e non potrebbe essere altrimenti – è quello della storia del cristianesimo. 

Ma come capita ogni volta che si entra nella sfera religiosa, basta un passo e si aprono mille altri mondi. Macculloch ne è talmente consapevole che scrive un’introduzione al libro per niente scontata.

Vale la pena riportarne integralmente una porzione:

“Ormai esiste una ricca letteratura sul silenzio nella religione. Che cosa potrebbe rendere questo libro diverso dagli altri? Io affronto l’argomento sulla base di una vita trascorsa a insegnare e fare ricerca storica. Ma trascorsa anche in fruttuosi incontri con chiese cristiane e vite cristiane. Gli schemi religiosi sono fra quelli più riconoscibili e universalmente diffusi nel tessuto delle società umane. E sono stati al centro della mia vita professionale.

“In tutta la mia carriera di storico sono sempre stato estremamente consapevole dell’importanza del silenzio nelle faccende umane, per una buona ragione biografica. Fin dalla più tenera età sapevo di essere gay, e questa si è dimostrata una marcia in più per un giovane storico. Nella Gran Bretagna di mezzo secolo fa, gli adolescenti gay erano estremamente consapevoli di che cosa non potesse essere detto. Di quanto fosse meglio stare zitti e veicolare il messaggio in altri modi”.

È quindi il silenzio, nella sua accezione più ampia, il centro intorno al quale ruota il saggio. 

Un silenzio che non sta in relazione solo con la cristianità ma anche con gli ambienti che la circondano. Dentro e fuori la società, nella storia dell’umanità e dei singoli individui.

Il percorso che Macculloch propone parte da lontano, dall’Antico Testamento, nella preistoria del cristianesimo, quando il silenzio era esercizio dal quale diffidare.

Nella narrazione si alternano concezioni della sacralità del silenzio radicalmente diverse tra di loro. Quasi l’autore volesse rimarcare una chiave di lettura anticipata nell’Introduzione quando scrive che “il silenzio può essere tanto positivo quanto negativo” (pagina 18). 

Ed allora si passa ad esempio dalla “positività del rumore culturale diretto in modo appropriato” (pagina 31). Dal “Dio che ordina ripetutamente alla forma di esistere per mezzo della parola” (pagina 34). Dal silenzio degli eremiti nel deserto. O quello della regola benedettina che lo considerava “come strettamente associato all’umiltà e all’obbedienza” (pagina 127).

“Si racconta che l’eremita Agatone, un contemporaneo di Macario l’Egiziano, avesse trascorso tre anni con una pietra in bocca per rafforzarsi nella pratica del mutismo” (pagina 109).

Macculloch non esclude niente della storia del cristianesimo

Dall’Antico Testamento scorre in avanti, raggiunge i Vangeli, osserva l’emergere della figura del “pellegrino”. Entra dentro il paesaggio cristiano funestato dalle riforme, dagli scontri, dalle condanne. Percorre i deserti dei monaci, si muove tra Oriente ed Occidente, oltre i concili, nei silenzi contemplativi. E fin dentro lo “svilupparsi di una lingua dei segni monastica” (pagina 134).

Il passo è lungo e la storia che si dilata nelle pagine è di tremila anni. 

In questo cammino, esercizio e percezione del silenzio sono le coordinate da seguire.

Ma c’è spazio anche per gli uomini, quelli che hanno fatto la storia delle religioni ed accolto o combattuto il silenzio.

Ci sono i padri dei quattro Vangeli, Luca, Marco, Giovanni e Matteo. Ignazio, vescovo di Antiochia vissuto intorno all’anno 100. Agostino d’Ippona con le sue “Confessioni”. San Benedetto. Ovviamente Lutero, Calvino, Erasmo e Zwingli.

Di quest’ultimo si legge che fosse un grande talento musicale. E “proprio per questo era tanto diffidente verso il potere seduttivo della musica, perché lui stesso non ne era immune […]. Perciò, la musica, al pari delle immagini e dei paramenti, doveva essere eliminata dalle funzioni religiose […] A Zurigo le funzioni riformate erano davvero piene di silenzi, poiché il pane e il vino venivano presi senza parlare. Ed erano previste pause per la preghiera silenziosa inframezzate alle letture dalla Scrittura e alle preghiere e ai sermoni del pastore” (pagine 176 – 177).

È facile immaginare, anche per chi non abbia ancora letto il libro, che il silenzio diventi specchio nel quale quasi tutte le vicende del cristianesimo si riflettono, comprese le più oscure. “Più di una volta le Chiese hanno costruito la propria identità dimenticando cose che non sarebbe stato opportuno ricordare” (pagina 254).

Macculloch non ci gira intorno. Ad esempio sugli abusi sui minori scrive che “quel che ha scioccato e disgustato moltissimi cattolici, allontanando innumerevoli fedeli dalla Chiesa in cui erano nati, sono stati i ripetuti tentativi di insabbiamento da parte della gerarchia ecclesiastica. A quanto pare, il clero considerava il buon nome della Chiesa più importante del danno arrecato alle giovani vittime” (pagina 269).

Anche sull’Olocausto traccia una linea precisa, sottolinea il silenzio di papa Pio XII, che “perdurò per i tredici anni postbellici del suo pontificato […] non fece alcun tentativo di cercare una riconciliazione con gli ebrei, o di chiedere loro pubblicamente perdono”. 

Il silenzio, in questo saggio scritto da Diarmaid Macculloch, è un’interessante chiave di lettura per reinterpretare la storia del cristianesimo. Apre ad un punto di vista originale su problemi vecchi e nuovi interni al dibattito religioso. Spiritualità, liturgie, divisioni, stanno tutte dentro questa storia. Ma il silenzio ci dice molto di più, può essere negativo o positivo, è “presenza nell’assenza: il suono d’ambiente di Dio” (pagina 315). 

Si, questo è un libro apparentemente di nicchia che si rivela alla portata di tutti.

Lo è ancor di più in questi giorni, l’Afghanistan, la Sharia, il frastuono delle armi e le troppe parole vuote, l’esatto contrario del silenzio di Macculloch, l’assenza nella presenza, la ritirata della vergogna.

“Il silenzio nella storia del cristianesimo”, di Diarmaid Macculloch, Neri Pozza Editore, pp.337, formato cartaceo € 22,00, formato digitale € 9,99