da: Corriere della Sera
MILANO – A Sergio Luzatto, oggi storico, scrittore e docente universitario, i genitori leggevano la sera
“un volumetto di Einaudi contenente le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, […per] trasmettere ai figli qualcosa del testamento spirituale che i partigiani morituri avevano consegnato alle loro ultime lettere”.
E, scrive ora Sergio Luzzatto sul Corriere della Sera,
“in questo sessantesimo anniversario della Liberazione, avverto forte la responsabilità di trasmettere ai miei figli quanto resta vitale di quel testamento. Peccato che, oggi, sia difficile farlo.
Non soltanto perché gli epigoni della lotta partigiana si sono andati spegnendo uno dopo l’ altro, così che le figure dei « padri della patria » sembrano appartenere a un paesaggio umano sempre più remoto.
Né soltanto perché il ventunesimo secolo ci pone di fronte a problemi, scelte, dilemmi rispetto a cui il bagaglio dell’ antifascismo rischia di riuscire inservibile. Oggi, è difficile raccogliere il testamento dei condannati a morte della Resistenza anche perché vediamo chiari i limiti della forma in cui ci è stato trasmesso dalla generazione dei nostri genitori.
Soltanto a riprendere in mano il libretto pubblicato da Einaudi nel 1952, salta agli occhi quanto vi fosse in esso di retorico e peggio di strumentale.
I curatori del volume einaudiano, Giovanni Pirelli e Piero Malvezzi, fecero il possibile per erigere, con le ultime lettere dei condannati a morte, una specie di monumento di carta: della Resistenza d’ oltretomba vollero fare un monolite di coraggio e di coerenza.
Perciò, non esitarono a tagliare dall’ una o dall’ altra missiva i passi che meno si prestavano a una rappresentazione eroica della vita e della morte dei partigiani; mentre rinunciarono a pubblicare documenti che testimoniavano di una Resistenza non solamente difficile, ma contraddittoria e magari crudele.
Venne da loro accantonata per esempio un’ ultima lettera come quella di Luigi Fassio detto « Baffo » , partigiano ucciso da altri partigiani perché sospettato (a torto) di essere un delatore. Il canto del cigno di questo sfortunato garibaldino ( « Muoio condannato dai miei stessi compagni. W. i partigiani » ) mal si adattava al progetto di un’ epica della Resistenza.
Tutto ciò non fa che accentuare l’ importanza del lavoro compiuto dallo storico Mimmo Franzinelli, curatore per Mondadori di una ben diversa edizione di Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza ( pagine 320, e18).
Sia chiaro: neanche per un momento il lettore di questa nuova antologia può avere il dubbio che Franzinelli appartenga alla nutrita schiera dei revisionisti a buon mercato, che la sua torbida intenzione sia di istituire una qualche analogia fra i partigiani e i saloini, le rispettive ragioni e i rispettivi sacrifici. Ma proprio in quanto valuta che una distanza siderale abbia storicamente separato i valori degli antifascisti da quelli dei fascisti, Franzinelli si guarda bene dall’ erigere un cartaceo monumento alla Resistenza ( tanto è vero che sceglie di includere nell’ antologia anche le ultime lettere di chi come tanti ebrei deportati alla lotta resistenziale neppure partecipò).
I partigiani non furono superuomini. E precisamente nel fermo immagine testamentario che li coglie davanti al plotone d’ esecuzione, cioè nel loro modo di essere prima di morire, si riconosce una differenza significativa rispetto ai combattenti di Salò, tutti compresi nello sforzo di andarsene come avevano vissuto, inappuntabili campioni del dannunzianesimo e del ducismo.
Poco o niente di una prosopopea di tal genere, da « nudi alla meta » e da « bella morte » , nell’ antologia di testi splendidamente curata da Franzinelli. Il cui lettore resta colpito al contrario dalla miscela di motivazione e di dubbio, di ardore e di paura, di fierezza e di sgomento, di generosità e di odio, che nei caduti della Resistenza attesta le stigmate di un’ ineludibile umanità.
Quanta poca politica, in queste Ultime lettere ! Quanto poco comunismo e al limite quanto poco antifascismo! E quanto abbondante, viceversa, il familismo, il bisogno postremo di ricondurre un troppo vasto mondo alle modeste misure della cerchia familiare, mamme e papà, fratelli e sorelle, mogli e fidanzate!”.