ROMA – Il banchiere Cesare Geronzi “confessa” a Massimo Mucchetti 40 anni di storia italiana vista dalle stanze che contano, quelle del potere bancario che si incrocia col potere politico. Ne viene fuori un libro “Confiteor”, in questi giorni nelle librerie, edizioni Feltrinelli (pp. 364, 18 euro). Prendiamo un estratto, quello in cui Geronzi racconta il suo rapporto con Silvio Berlusconi.
Siamo nel 1993, anno cruciale per Berlusconi, che dopo Tangentopoli ha visto cadere a uno a uno i suoi protettori politici, e la sua Fininvest, zavorrata dai debiti in un momento difficile per l’economia italiana. Si racconta che Geronzi – all’epoca alla guida della Cariroma (Cassa di Risparmio di Roma) – abbia salvato la Fininvest. Un salvataggio decisivo perché Berlusconi potesse poi “scendere in campo”, fondando Forza Italia ed entrando in politica. Ecco la sua versione dei fatti:
Geronzi: “All’inizio del 1993, il Credito Italiano aveva inopinatamente chiesto il rientro alle aziende del gruppo Berlusconi. In quei mesi l’economia era in recessione. Il governo Amato aveva appena varato la sua famosa stangata. La Fininvest possedeva la Standa. In teoria, non doveva mancarle il contante. Eppure, la Standa faticava a pagare i fornitori perché la liquidità dei grandi magazzini, gestita dalla tesoreria centrale della Fininvest, serviva anche per le televisioni, che vedevano i ricavi pubblicitari fermi e i costi in salita per effetto della concorrenza Rai, e anche per il comparto edilizio, che non vendeva più come un tempo. I dietrologi vi vedevano la mano di Mediobanca, ma anche senza occulte regie il Credito Italiano poteva generare un effetto gregge tra le altre banche creditrici.
Noi invece, pensavamo che le difficoltà del gruppo Fininvest fossero temporanee e così allargammo i fidi. Non stiamo parlando di grandi cifre. Ma quelle poche decine di miliardi (di lire, ndr) consentirono alla Standa di riallacciare rapporti normali con i fornitori e all’intero gruppo Fininvest di ritrovare fiducia. Certo, l’operazione più importante fu un’altra.
Mucchetti: “Si riferisce, immagino, all’affare Mediolanum”.
Geronzi: “Precisamente. Ennio Doris, l’anima di Mediolanum e della rete di promotori finanziari Programma Italia, coltivava da sempre l’ambizione di mettersi alla pari con il suo amico Silvio, che ne aveva finanziato gli esordi e deteneva il 75% dell’impresa. Doris sognava una partecipazione analoga a quella di Berlusconi nel mondo Mediolanum. Quel terribile 1993 gli offrì il destro per provarci. Era d’autunno quando Doris venne a trovarmi a Roma e mi spiegò il progetto che sarebbe culminato con la quotazione di Mediolanum in Borsa. Il suo amico Silvio era pronto a vendergli il 24% di Fininvest Italia, la subholding cui facevano capo le attività finanziarie e assicurative del gruppo Fininvest. Ma c’era un problema: lui, Doris, l’acquirente designato, non aveva i 240 miliardi di lire richiesti dal venditore. “Dottor Geronzi, se mi finanzia, le darò in garanzia il 24% di Fininvest Italia e la rimborserò non appena andremo in Borsa”.
[…] Mucchetti: “Per la Fininvest, quei 240 miliardi furono un toccasana. Gran parte di quella somma, ben 216 miliardi, costituiva il guadagno che salvò il bilancio di Fininvest quell’anno. Avrebbe mai potuto Berlusconi presentarsi all’elettorato come un vincente se avesse avuto i conti in rosso? Ma quell’incasso di 240 miliardi aveva anche un valore concreto: dava liquidità a un gruppo che, altrimenti, avrebbe ancora potuto trovarsi in debito di ossigeno. Senza la Banca di Roma, Doris non avrebbe comprato e la Fininvest non avrebbe incassato. Per il Biscione, si sarebbe profilato il rischio di fare la fine del Gruppo Ferruzzi. Silvio la ringraziò? E come?”
Geronzi: “Berlusconi non aveva di che ringraziarmi, ancorché in seguito riconobbe il coraggio e la lungimiranza della Banca di Roma nell’assistere il suo amico Doris”
Mucchetti: “Non aveva di che ringraziarla? Non capisco”.
Geronzi: “Eppure è facile. Dell’affare Mediolanum parlai soltanto con il mio cliente. Che era Ennio e non Silvio”.
Mucchetti: “Sottile distinguo. Ma Berlusconi non poteva non sapere, visto che doveva incassare. Nel dicembre 1993, mi è stato raccontato, Berlusconi la venne a trovare nella sede milanese della banca, in piazza Edison. Era sollevato per lo scampato pericolo e portava sotto braccio voluminose cartelle”.
Geronzi: “Oh, ma lei vuol farmi raccontare la visita del fondatore di Forza Italia! Silvio non venne a parlare di affari, ma di politica. Quelle cartelle da architetto erano di una dimensione tale da non poter essere dispiegate su un tavolo da riunione, per quanto il mio non fosse tanto piccolo. Me lo rivedo come fosse oggi! Berlusconi che dà un’occhiata alla stanza per capire come fare con quelle cartellone e poi, svelto come un gatto, Berlusconi che s’inginocchia e le apre direttamente sul pavimento, estraendone tutto fiero gadget, manifesti, libretti, bandierine, cassette: insomma, l’armamentario già pronto per la discesa in campo”.
Mucchetti: “E lei?”
Geronzi: “Rimasi sorpreso da quel tornado. Ascoltai. Cercai di non sbilanciarmi. La novità era enorme, l’incertezza degli esiti di più. Dopo la sua esposizione, Silvio raccolse le carte nel cartellone e se ne andò con l’aria compiaciuta del grande venditore sicuro di aver incantato il proprio interlocutore”.
Mucchetti: “L’aveva incantata?”
Geronzi: “Incantato no, ma colpito sì”.