Gesù disse e Paolo trascrisse: nelle sue epistole la versione forse più autentica delle parole di Gesù. Sono testi che precedono di parecchio i Vangeli sinottici, quanto meno quelli di Luca (80-90), Matteo (70-100) e Giovanni (90-100). Quello di Marco sarebbe stato composto fra il 60 e il 70.
Paolo morì decapitato a Roma nel 67 mentre i Vangeli furono scritti fra il 60 e il 100. E all’epoca non c’era internet, né i fax e nemmeno i telefoni.
Paolo non conobbe Gesù di persona ma conobbe molti fra i primi discepoli
Paolo non ebbe contatti con Gesù, a parte il metafisico incontro sulla strada per Damasco, ma ebbe un rapporto stretto con le prime comunità cristiane, in cui molti erano coloro che avevano conosciuto Gesù e lo avevano sentito parlare.
Come scrive Garry Wills nel suo “What Paul Meant” non è che Paolo “avesse in mente parole specifiche di Gesù” ma “sicuramente aveva colto la chiave di ciò che Gesù aveva insegnato durante la sua vita terrena”.
Segue una prima selezione di brani presi dalla epistola ai romani che sono speculari alle parole di Gesù nei Vangeli. Come scritto sopra, non può essere che Paolo ha copiato dai Vangeli e forse nemmeno il contrario. Piuttosto sono due filoni di informazione arrivati fino a noi.
Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. (Rom 12, 10).
Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. (Rom 16).
[Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. (Rom 17-18).
Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge.
Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore. (Rom 13, 8-10).
Non giudicare per non essere giudicato
Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto:
Come è vero che io vivo, dice il Signore,
ogni ginocchio si piegherà davanti a me
e ogni lingua renderà gloria a Dio.
Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso.
Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello.
Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo. Ora se per il tuo cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Guardati perciò dal rovinare con il tuo cibo uno per il quale Cristo è morto!
Non divenga motivo di biasimo il bene di cui godete! Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole.
Male mangiare dando scandalo
Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutto è mondo, d’accordo; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. (Rom 14, 10-21).
Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. (Rom 12, 4).