Giovanni Valentini: la “scossa” a gufi e rosiconi la dà…

di Daniela Lauria
Pubblicato il 3 Novembre 2015 - 07:07 OLTRE 6 MESI FA
Giovanni Valentini: la "scossa" a gufi e rosiconi la dà...

La Scossa, di Giovanni Valentini. Il libro indica una sola via di salvezza per la povera Italia

ROMA – Giovanni Valentini ha scelto per il suo ultimo libro, La Scossa (Longanesi), una “parola terremotata”, dal suono forte, molto fisica. “Perché l’Italia – si legge nel sottotitolo – non ha più scuse”. La scossa, dal latino excutere, dove ex è rafforzativo e quatere vuol dire agitare, scrollare, è quel balzo improvviso e violento che ci costringe a muoverci, riadattarci, aggiustarci, in definitiva ci impone un cambiamento. È scossa il movimento tellurico che ci fa tremare la terra sotto i piedi. È scossa l’elettricità che è diventata il simbolo del mondo moderno.

La Scossa di Giovanni Valentini non è un saggio scientifico, ma analizza scientificamente mali, vizi e disfunzioni del Belpaese che si chiama Italia.

Quello di Valentini è un punto di vista privilegiato, di chi per oltre 40 anni ha osservato i cambiamenti fondamentali avvenuti nella politica e nel costume italiani, partecipandovi attivamente con brillanti riflessioni. Oggi è portavoce dell’authority Antitrust, ma per anni si è occupato di politica, informazione, ambiente e diritti civili dalle pagine del quotidiano la Repubblica, fin dalla sua fondazione, e da quelle del settimanale L’Espresso, di cui è stato anche direttore.

Che all’Italia serva una scossa ce lo vanno ripetendo in molti e da tempo. Lo shock qui invocato, è inutile girarci intorno, sono le fatidiche riforme strutturali, quelle richieste dall’Europa, il cui ventennale rinvio ha fatto sì che la nostra economia e la nostra società siano oggi incrostate, soffocate da rendite e corporativismi, da burocrazia e sistemi relazionali, contro i quali si sono andati a schiantare tutti i tentativi riformatori. Ma prima, osserva Valentini, dobbiamo darci una scossa psicologica e culturale.

Il giornalista esordisce prendendoci (e prendendosi) letteralmente a schiaffi. Noi italiani, ci dice senza mezzi termini Valentini, siamo un popolo di,

“Individualisti, Indisciplinati. Scettici, pessimisti, disfattisti. Sfiduciati, scoraggiati, rassegnati. Inclini all’autodenigrazione e all’autolesionismo. Siamo, da secoli, un popolo di guelfi e ghibellini. Ma ormai rischiamo di diventare un popolo di gufi e rosiconi”

La terminologia, è evidente, è quella cara a Matteo Renzi. Ma mai nessuna descrizione fu più lucida ed esaustiva. Ammettere il problema è il primo passo verso la guarigione e l’invito di Valentini è a superare collettivamente questo pessimismo cosmico che ci attanaglia da secoli. Siamo un popolo al tempo stesso nobile e miserabile, infierisce l’autore, che si ostina a crogiolarsi nelle proprie contraddizioni. Sempre pronti ad invocare l’altrui rispetto delle regole. Ammalati di servilismo e opportunismo e più recentemente di benaltrismo.

Il nostro volksgeist (lo spirito del popolo) è il trasformismo. Funambolismo antico, su cui Valentini si sofferma per un intero capitolo partendo dal padre del trasformismo, Agostino De Pretis, sino ad arrivare a Sergio De Gregorio e all’indecorosa inchiesta sulla compravendita dei parlamentari.

L’analisi è impietosa ma assolutamente necessaria per fare i conti con la realtà. Per svegliarci e azionare finalmente quella scossa virtuosa che serve a risollevarci. Il libro di Valentini vuole essere in realtà un’iniezione di fiducia per spronarci ad accogliere il cambiamento. Che è sempre di segno positivo, pure se imperfetto, gravido di dubbi e incertezze e mal distribuito, il cambiamento è comunque preferibile a certo immobilismo di stampo democristiano. E allora è inutile indugiare sugli errori e le colpe della destra, i ritardi e i tabù della sinistra; il tradimento del Mezzogiorno e la falsa rivoluzione liberale. Non c’è tempo da perdere, urge cambiare.

Come? Innanzitutto sconfiggendo il Fronte del No. No Tav. No Triv. No Tap. No Muos. No Mose. No Expo. Che meritano un capitolo a parte. Pur riconoscendone le urgenze ambientaliste Valentini si augura che il fondamentalismo ecologico possa essere prima o poi rimpiazzato da un ambientalismo compatibile con le ragioni dello sviluppo, del benessere, della crescita e dell’occupazione. Il loro contraltare politico e istituzionale è il Puc, Partito unico della conservazione, che annovera schiere di illustri costituzionalisti, sindacalisti, magistrati, intellettuali, ecc. Il loro assioma è il mantenimento dello status quo, ostacolando e frenando la crescita del Paese:

“Dal posto fisso alla pensione, dalle tutele sindacali alle garanzie economiche, dalle rivendicazioni personali a quelle di categoria, dall’ambiente al patrimonio culturale. Parafrasando la celebre frase del Gattopardo, l’ideologia del Puc si potrebbe riassumere nello slogan: Non cambiare niente, per conservare tutto com’è

Al punto che ad ogni proposta di riforma, si scatena un uragano di proteste e critiche. Ma il tempo dei rinvii e delle deroghe è finito. E Valentini ci invita a compiere uno scatto di dignità e orgoglio nazionale che faccia prevalere lo spirito costruttivo su quello critico e corrosivo.

Non alla mera denuncia si limita l’autore: ad ogni vizio o difetto smascherato, propone soluzioni e idee. Quali? Un sistema elettorale giusto ed efficiente che garantisca l’effettiva alternanza; una “rivoluzione della legalità” contro la corruzione e la criminalità organizzata; un serio programma di liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma degli appalti; una riforma della scuola e dell’università che riconosca “i meriti e i bisogni”; il rilancio del turismo e dell’occupazione.

Valentini spazia in tutti gli ambiti del vivere sociale amministrato. Sembra quasi un programma elettorale il suo, che pesca a piene mani nella miniera di annunci fatti dal governo Renzi, ma senza slogan e retoriche affabulatorie. L’autore individua lucidamente tutti i cardini del sistema ormai avariati e da sostituire, riformare, ricablare. Con la scientificità chirurgica di un tecnico e la prodigalità di uno statista. E indica un interessante punto di partenza: “La rinascita – come già avvenne negli anni del boom economico – deve cominciare necessariamente dal Mezzogiorno”. A fine lettura verrebbe quasi da gridare: “Valentini for president!” Ma basterebbe anche solo che gli italiani ne traessero spunto e ispirazione. Perché una parte piccola o grande di quest’opera di ricostruzione sta nella volontà, di ciascuno, di metabolizzare i propri vizi e superare particolarismi e disfattismi.

In conclusione, può far male sentirselo dire, ma l’unica persona che secondo Valentini incarna al momento il cambiamento è Matteo Renzi.

“Almeno fino a quando, da una parte, il Movimento 5 Stelle non avrà maturato una cultura di governo che consenta ai suoi dirigenti più giovani di assumere una tale responsabilità, superando la fase embrionale e baricadera del grillismo; oppure, dalla parte opposta, fino a quando la crisi del centrodestra non riuscirà a metabolizzare la deriva fascio leghista“.

Non di cieco conformismo si tratta ma di consapevolezza. Che un altro fallimento spazzerebbe via non solo Renzi ma l’intero sistema istituzionale perché la politica, non riuscendo a risolvere i problemi dei cittadini, avrebbe definitivamente dimostrato di essere solo un costo. Insomma la direzione è quella giusta, anche se la leadership è imperfetta e “il gap tra le promesse e le effettive realizzazioni è ancora ampio e insoddisfacente”. E allora, bando ai piagnistei, è ora di darsi una scossa!