ROMA – Per tre anni della sua vita lo scrittore Emmanuel Carrère è stato un cattolico fervente: si è sposato in chiesa, è andato a messa ogni giorno, ha battezzato suo figlio e letto e commentato quotidianamente i Vangeli, annotando le sue riflessioni su un taccuino che a distanza di vent’anni è divenuto il materiale da rimaneggiare per un libro. E’ da questa esperienza che prende spunto e sostanza Il Regno (Adelphi), sua ultima fatica letteraria che come ogni sua opera non appartiene a nessun genere: tra racconto e autofiction, con approccio documentaristico Carrère ripercorre i sentieri del Nuovo Testamento come fossero un romanzo e indaga le ragioni della fede. Un libro che, tra l’altro, riapre la questione religiosa in un momento in cui quest’ultima mostra la sua faccia più estrema, il fanatismo.
La materia principale del libro è la storia: storia romana, ebraica, storia del cristianesimo, storia di “una piccola setta ebraica, fondata da pescatori incolti, cementata da una stramba fede sulla quale nessuna persona di buonsenso avrebbe scommesso un sesterzio” e di come sia stato possibile che quel messaggio, apparentemente insensato, sia riuscito a “divorare dall’interno l’Impero romano in meno di tre secoli e, incredibilmente, abbia retto fino ad oggi”. E al contempo storia di sé, di uomo che dopo qualche anno di religiosità dogmatica è tornato a indossare i panni dell’ateo agnostico. O meglio di un “cristiano non credente”, come lo stesso Carrère ama definirsi.
All’Ansa, lo scrittore francese racconta:
“Ho riaperto quei quaderni con curiosità e con un grande imbarazzo. Mi sentivo a disagio un po’ come quando si guardano vecchie foto in cui si è pettinati o vestiti in modo strano. Ero in imbarazzo rispetto a quel genere di fede che era molto egocentrica, una specie di ripiegamento difensivo su me stesso. Mentre mi sta a cuore una fede diversa, con un volto più luminoso. Scrivendo questo libro mi sembrava onesto raccontare che quella fase era stata mia in un certo momento della vita”.
I protagonisti del Regno sono Paolo e Luca: il primo personaggio carismatico e fanatico, il persecutore dei cristiani convertitosi sulla via di Damasco, colui che poi ha universalizzato la parola di Cristo; il secondo, l’evangelista che accompagnando Paolo nelle sue peregrinazioni ne ha raccolto le gesta negli Atti degli Apostoli.
Ed è proprio questa l’essenza centrale del libro di Carrère, il fatto che
“prima ancora di essere una dottrina il cristianesimo è una narrazione. La diffusione del cristianesimo – sottolinea l’autore all’Ansa – è stata innanzi tutto un successo letterario e io mi interrogo, cerco di immaginare chi era e come funzionava l’autore di uno di questi quattro libri con i quali noi, in fondo, siamo cresciuti. Da dove tirava fuori le storie che raccontava. E’, insomma, anche la storia di uno scrittore: Luca“.
Non a caso, tra i due quello che l’autore sente più vicino a sé è Luca. Tant’è che intervistato da Mario Baudino per quotidiano la Stampa, Carrère afferma:
“Paolo è geniale, Luca è molto più umano. Una specie di Sancho Panza che segue il suo Don Chisciotte. Anch’io mi sento così”.
Di paragoni irriverenti e parallelismi insoliti con la contemporaneità è costellato l’intero libro. Facendo rivivere i personaggi e ripercorrendo gli eventi del I secolo dopo Cristo, Carrère scrive ad esempio che la politica dei romani “da un capo all’altro dell’impero ricorda quel che succede oggi con McDonald’s, Coca Cola, gli ipermercati, i negozi Apple”. E ancora che “nella realtà storica Gesù era una specie di Che Guevara”. Di più, che “Gesù e Giovanni sono come Robert De Niro e James Wood in C’era una volta in America“.
Senza tralasciare le continue incursioni autobiografiche dell’autore che fa capolino ad ogni pagina accanto al giovane Timoteo, Filippo di Cesarea, Giacomo, Pietro, Nerone e il suo precettore Seneca, lo storico Flavio Giuseppe e l’imperatore Costantino. Tra l’uno e l’altro Carrère parla anche della sua famiglia, di sua moglie, della sua madrina, di uno psicanalista sagace, di un amico buddista, di una babysitter squinternata e persino di un video porno trovato in rete, sul quale indugia per oltre tre pagine.
In conclusione ci affidiamo alle parole dello stesso autore,
“mi succede di sperare di essere più fedele a quella essenza e spirito del Vangelo di quanto non lo fossi – dice – all’epoca in cui mi dichiaravo credente. Vorrei veramente essere fedele a questo spirito del Vangelo che non ha niente a che fare con la fede dei dogmi della religione”.