MILANO – Antonio Gramsci fu tradito? Sì, da Palmiro Togliatti, secondo Mauro Canali, autore del libro “Il Tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata” (Marsilio, pagg. 256, Euro 19,50). Libro così sintetizzato da Francesco Perfetti sul Giornale:
“Antonio Gramsci fu arrestato la notte dell’8 novembre 1926 a Roma dove viveva, in affitto, nella casa di due anziani coniugi, Giorgio e Clara Passarge, legati da rapporti di amicizia con Carmine Senise, già allora alto funzionario del ministero dell’Interno. Iniziò, così, il lungo calvario dell’esponente comunista tra confino e carcere. A quell’epoca i suoi rapporti con Palmiro Togliatti si erano già deteriorati. Sullo sfondo c’era lo scontro di potere all’interno del gruppo dirigente bolscevico dopo la morte di Lenin: Stalin e Bucharin, da una parte, Trockij, Zinoviev e Kamenev, dall’altra. Gramsci aveva inviato a Togliatti, rappresentante del Pcd’I nella III internazionale, un documento per i dirigenti sovietici nel quale lasciava trapelare il suo dissenso per il comportamento della maggioranza staliniana del Comitato Centrale del Pcus nei confronti dell’opposizione e auspicava un riavvicinamento ideologico con personalità che godevano di prestigio mondiale e andavano annoverate fra i «nostri maestri».
Togliatti, già folgorato dalla stella di Stalin, non consegnò il documento ritenendolo inopportuno ed ebbe con Gramsci un duro scambio di lettere. Fu il primo tradimento nei confronti di Gramsci. Non fu, però, il solo, come documenta un importante lavoro di Mauro Canali intitolato Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata (Marsilio, pagg. 256, Euro 19,50) e frutto di una capillare e puntigliosa ricerca archivistica.Subentrato a Gramsci nella guida del Pcd’I, Togliatti fece imboccare al partito la strada della subordinazione allo stalinismo e di un sostanziale disinteresse per la sorte del leader comunista, il quale cominciò a nutrire dubbi e sospetti su di lui. Nel febbraio del 1928, a istruttoria ancora aperta, Gramsci, detenuto a San Vittore in attesa di giudizio, ricevette da Ruggero Grieco una lettera che lasciava intendere com’egli fosse il capo del partito e avvalorava di fatto le accuse. Il giudice istruttore la commentò così: «onorevole, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera». Quella lettera non fu un gesto di leggerezza o di stupidità, ma, per usare le parole di Gramsci, un «atto scellerato», dietro il quale si poteva supporre una subdola mano ispiratrice. Che fosse quella di Togliatti, Gramsci lo sospettò subito e lo fece notare alla cognata Tatiana sostenendo che la lettera non era «tutta farina del sacco di Grieco». Anni dopo, egli avrebbe ribadito all’economista Piero Sraffa i suoi sospetti sulla responsabilità di Togliatti sia nella vicenda della lettera che aveva aggravato la sua situazione processuale sia nel boicottaggio alle trattative per la sua liberazione avviate dal governo sovietico con l’intermediazione di padre Tacchi Venturi”.
Non solo. Recensendo lo stesso libro di Canali, Dino Messina sul Corriere della Sera, fa notare come Gramsci fu tradito anche da Ignazio Silone, pseudonimo di Secondo Tranquilli, lo scrittore autore di “Fontamara”:
“Nell’intricata vicenda Gramsci, Canali analizza il ruolo avuto dalla famiglia della moglie, Giulia Schucht, ma anche quello dell’economista Piero Sraffa, di cui posticipa di circa un decennio l’adesione al comunismo attribuita dalla vulgata, e la responsabilità di Ignazio Silone nell’arresto di Gramsci. Fu Secondino Tranquilli, alias Ignazio Silone, alias «Silvestri», responsabile della propaganda del Pcd’I e informatore del funzionario di polizia Guido Bellone, a indicare a questi con precisione il ruolo di leader ricoperto da Antonio Gramsci. Il processo si basò fondamentalmente sulle accuse di Bellone.
Ma il filo conduttore del racconto rimane l’ambiguo atteggiamento tenuto verso Gramsci da Togliatti, il quale, in una breve storia dei primi anni di vita del Pcd’I scritta nel 1932 ad uso del Comintern, rievocando il periodo 1923-1926, omise il nome di Gramsci, che era invece in quel periodo il leader riconosciuto del partito.
Dopo la morte del pensatore comunista, avvenuta il 27 aprile 1937, la cognata Tatiana tornò a Mosca con l’intenzione di fare i conti con Togliatti. Il Comintern in effetti istruì un’inchiesta (condotta da Stella Blagoeva) che nel 1940 portò all’allontanamento del «compagno Ercoli» dalle cariche direttive. La sconfitta del fascismo e la necessità di ricostruire il partito in Italia furono la salvezza per Togliatti.
Nel dopoguerra cominciò la gestione dell’eredità intellettuale di Gramsci, che passò attraverso la pubblicazione, con omissioni e destrutturazioni, dell’opera, base preziosa per la teoria della via italiana al socialismo. Un corpus di saggi e testimonianze usato e manipolato anche per costruire la leggenda di «Togliatti erede di Gramsci»”.