ROMA – Si può, nel senso se sia opportuno storicamente, pubblicare Mein Kampf di Adolf Hitler ed esibirne le copie in libreria come un qualsiasi libro? La domanda si pone in tutta Europa, dopo che sono scaduti i diritti detenuti dal Land di Baviera in Germania (che dal dopoguerra fino a oggi ne aveva vietato la pubblicazione). E in particolar modo in Francia dopo l’annuncio di Fayard, editore commerciale, di metterlo in distribuzione nel 2018.
In rete il libro è tra i più scaricati su Google. Ben diversa però è la copia cartacea, un modo non solo per rintracciare odiose conferme e conseguente vocabolario alle proprie pulsioni anti-semite o simpatizzanti con il nazismo. Il primo a esprimere pubblicamente la necessità dell’ostracismo è stato Jean Luc Melenchon, il leader del Parti de Gauche: “Pubblicare vuol dire diffondere. la sola evocazione del progetto ha assicurato una pubblicità senza pari a questo libro criminale”.
Parla di “pubblicità inaccettabile” la storica della Shoah Annette Wieviorka. L’aggravante è che “il libro vende” anche se l’editore devolverà gli utili in beneficienza. Per i contrari, una edizione dovrebbe essere affidata solo a una istituzione universitaria, in grado cioè di collocare nel giusto contesto storico il libro approntando una specie di rete di sicurezza intellettuale.
Di diverso avviso lo storico del nazismo Christian Ingrao. Il punto, secondo lui, resta l’equivoco di fondo sulla ricezione storica del personaggio Hitler e del nazismo: “Bisogna smetterla di respingere Hitler e il Mein Kampf nel patologico e nella demonologia, e iniziare a considerarlo solo in termini storici politici”.