Napoli 1857, Beirut 2020. Storia e leggende, 382 pagine di Vittorio Del Tufo

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 11 Ottobre 2020 - 13:26 OLTRE 6 MESI FA
Napoli 1857, Beirut 2020. Storia e leggende, 382 pagine di Vittorio Del Tufo

Napoli 1857, Beirut 2020. Storia e leggende, 382 pagine di Vittorio Del Tufo

 17 Luglio 1770. Una carrozza trainata con quattro cavalli solcò il golfo di Napoli, tra Posillipo ed il ponte della Maddalena. 

Ad architettare l’evento prodigioso fu il principe-mago Raimondo Sangro; la chiamò “la carrozza marina”.

“Carrozza e cavalli erano sagomati in legno resistente e leggerissimo, fissati su una larga zattera invisibile sul pelo dell’acqua. Il movimento propulsore lo davano ruote e pale fatte girare da robusti servi all’interno dello scafo. I napoletani increduli poterono ammirarla mentre attraversava le acque… l’effetto ottico era strabiliante dalla riva” (pagina 73). 

Della carrozza marina oggi non si ha più traccia, nemmeno del modellino utilizzato per realizzarla. L’unica testimonianza è una stampa tratta da un’incisione di Giuseppe Aloja, oggi conservata presso la Società Napoletana di Storia Patria. 

A raccontare questa affascinante piccola storia è il giornalista Vittorio Del Tufo, in un libro del 2018, “Napoli magica”, Neri Pozza Editore. 

“Un viaggio vertiginoso nella Napoli del mito e della leggenda” si legge in una delle due alette. Frase che suona di impegno preso, quindi assai rischiosa quando si parla di libri. Ma, effettivamente, ciò che promette,  mantiene.  

Finito di leggere il libro, la tentazione è quella di prendere il primo treno per Napoli. 

È scritto molto bene, mai pesante, mai banale. 

Nonostante le 382 pagine complessive – i capitoli sono quattordici – fila via velocemente. 

Divulgativo, qualche tocco di ironia che non guasta, ci restituisce una Napoli che inebria ed appassiona.

Sarà il fascino per la prospettiva dalla quale la si guarda, sarà la ricchezza della storia che la città rivendica, sarà pure per una certa propensione al mistero che attanaglia questa lettura, ma, libri come questo, meriterebbero più spazio. 

Non fosse altro per galanteria visto che Napoli ha pure un nome di donna: Partenope.

“Nella leggenda popolare le tre sirene, Partenope, Leucosia e Ligea, disperate per non aver saputo ammaliare Ulisse di ritorno da Troia, non sopravvivono al dolore e si lasciano morire; la corrente trascina il corpo esanime di Partenope fino all’isolotto dove sorge oggi il borgo Marinari, o, secondo altre versioni, nell’area oggi occupata dal teatro San Carlo e dal Maschio Angioino, che nell’antichità era un’insenatura naturale” (pagina 11).

Ed è appunto sul sepolcro di Partenope che il mito colloca l’edificazione di Napoli. 

Sono le prime pagine del libro, ma hanno la forza di imporre subito un certo ritmo narrativo che trascina. 

Chi  l’avrebbe mai detto, San Gennaro non ha il primato. È Virgilio “il primo vero santo protettore della città”. Per liberare Napoli dai rettili che la infestavano, “secondo la leggenda, dopo aver catturato una serpe enorme e velenosissima, Virgilio l’avrebbe uccisa e imprigionata sotto due metri di terra: come per incanto, da quel momento i rettili smisero di terrorizzare i napoletani” (pagina 26). 

Ma non solo Virgilio. 

Nerone ad esempio era innamorato della città. Arrivò per la prima volta nel 61 d.C. acclamato da un’immensa folla di curiosi. 

Il filosofo Benedetto Croce era un grande cantore di leggende napoletane. 

Giotto ne divenne pittore ufficiale di corte nel 1328.

Il Boccaccio la frequentò e vi ambientò alcune sue novelle. 

In molti subirono il suo fascino.

Esoterismo, negromanzia, massoneria, arti divinatorie, fantasmi, misteri, leggende, ma anche un immenso patrimonio artistico viene scandagliato in questo testo.

Il Cristo velato nel cuore del tempio di Sansevero ne è testimonianza diretta, ma anche altri luoghi compaiono, taluni ancora visibili, altri invece ingoiati dalla contemporaneità.

Inevitabilmente il libro diventa anche una cartina della città. Vie che ancora esistono, altre scomparse, quartieri dalla costruzione urbanistica curiosa, come Forcella, con il tratto inconfondibile della strada principale a forma di “Y” che i pitagorici napoletani consideravano la sintesi della perfezione assoluta. 

E poi si scopre «la nostra Beirut».

Nella notte tra il 12 e 13 dicembre del 1587 Napoli fu devastata da una violentissima esplosione. Un fulmine colpì il Belforte, deposito di armi – oggi è Castel Sant’Elmo -, morirono centocinquanta persone. “Il tremendo boato fu udito in tutta la città ed ebbe l’effetto di un cannoneggiamento, provocando sfracelli anche a distanza di chilometri. Rimasero danneggiati ospedali, chiese e abitazioni private” (pagina 138).

Napoli città capovolta, il passaggio dalla luce al buio, agli inferi. Una “terra cava” alla quale Del Tufo dedica un capitolo intero, il quinto. “Napoli è una città partorita dalle sue stesse viscere: quasi tutti i palazzi costruiti fino alla seconda metà dell’Ottocento poggiavano sul sottosuolo dove era stato estratto il tufo per la costruzione” (pagina 152).  

La tradizione esoterica racconta di Virgilio sul monte Barbaro di Pozzuoli intento a cercare l’ingresso alla mitica Agharta, il regno che si troverebbe all’interno della terra. Ed è proprio durante questa sua ricerca che si imbatte in un prodigioso volume, “che lo avrebbe avviato ai segreti della magia” (pagina 143).  

“Nelle viscere della metropoli tutto si confonde. Mito, storia, archeologia, speleologia, riti pagani, culti misterici, cunicoli segreti, storie maledette” (pagina 157). 

Dunque Napoli, la città di sotto e la città di sopra. Un contrasto tra due dimensioni diverse che Del Tufo riesce a risanare. Il sotto ed il sopra divengono un unico mondo. Miraggio di popoli, crogiolo di culture, mondi e tempi che trovano una sintesi comune.

La rivolta di Masaniello, la grande peste del 1656,  la nascita della Repubblica Napoletana il 21 gennaio del 1799, e tanto per collegarsi all’attualità anche il 9 ottobre del 1569 “quando Napoli fu colpita da una bomba d’acqua che travolse abitazioni e chiese provocando la morte di decine di persone” (pagina 253).

Ovviamente non poteva mancare la Napoli delle fatture e dell’antifatture, con squisiti racconti di leggende, di prodigi, negromanti, esorcismi con frati che a quanto pare consultavano le carte sottratte alle streghe mandate al rogo secoli prima.

E poi, Napoli tra ‘800 e ‘900, la Belle Epoque, tra salotti mondani e medianità, evocazione di spiriti, “tavoli danzanti”. La città diventa una delle capitali del bello e dell’occulto.

“Napoli magica” è un libro che respira fino all’ultima riga. Sfrutta tutto la spazio a sua disposizione. E se ne avesse avuto ancora, sarebbe andato avanti senza rifiatare, a buttare giù aneddoti, storie, miti.

Del Tufo racconta una città inedita, sulla scia di Curzio Malaparte, Roberto De Simone ed altri ancora.

Sono storie straordinarie che arrivano dal passato, ombre che ancora si aggirano nei vicoli stanchi. È una Napoli bella, complicata e semplice, mesta e radiosa nel medesimo tempo. 

Finito di leggere il libro, la tentazione è quella di prendere il primo treno per Napoli, così ho scritto ad inizio recensione. Ma anche un altro sentimento accompagna gli attimi dopo la fine: per quanto vicino si possa arrivare, la magia di Napoli è raggiungibile solo per chi vi è nato. 

A noi altri non rimane che masticare un pizzico d’invidia ma anche gioire, perché alla fine, siamo tutti italiani. 

“Napoli magica”, di Vittorio Del Tufo, Neri Pozza Editore, pp.382, € 13.50