“La Repubblica tradita” è l’ultimo libro scritto da Giovanni Valentini, uno dei fondatori di Repubblica, ex direttore de L’Espresso e vicedirettore della Repubblica stessa. Nel libro, Valentini racconta “i conflitti d’interessi e i restroscena”, “l’ascesa e il declino” di “Repubblica”, un ampio giro di ricordi sull’arco di 40 anni, concentrato in poco più di 130 pagine. Un libro carico di amarezze e di rivelazioni, scritto con eleganza e in buon italiano, come di rado capita ormai.
Un estratto del libro è riportato da Formiche.it:
“Il fatto è che L’Espresso diretto da Claudio Rinaldi aveva pubblicato un’anticipazione tratta da un libro di Giovanni Ruggeri, Gli affari del Presidente, in cui si raccontava l’ oscura storia di villa San Martino, ad Arcore: la magione era appartenuta alla marchesa Anna Maria Casati Stampa e poi diventò la residenza di Berlusconi. In forza dei suoi rapporti professionali con lui, il mediatore dell’operazione era stato l’avvocato Cesare Previti, ma la trattativa si concluse con il controverso scambio di titoli azionari di società non quotate in Borsa per un valore di gran lunga inferiore a quello di mercato.
Quando uscì il settimanale con questa ricostruzione, Previti – appena nominato ministro della Difesa – andò su tutte le furie. Sventolando minacciosamente una copia del giornale, irruppe a Palazzo Chigi in una riunione del Consiglio dei ministri, presieduta dal vicepresidente Giuseppe Tatarella che era anche ministro delle Poste e Telecomunicazioni. “Questi devono passare sul mio cadavere, ma la licenza Omnitel se la possono dimenticare!”, inveì Previti. In quel momento, lavoravo come inviato a Repubblica e conoscevo bene “Pinuccio”, barese come me. Sebbene fossimo sempre stati su posizioni politiche opposte, esisteva fra di noi un rapporto di stima reciproca e di amicizia personale. Scalfari mi aveva incaricato perciò di tenere un contatto con lui, per stabilire un canale di comunicazione con la maggioranza di governo. E così scrissi un’inchiesta a puntate sulla “Nuova Destra”, dedicandone una alla “destra sociale” di cui Tatarella era considerato il maggior esponente.
Quell’inchiesta fu per me l’inizio di una tortura durata alcuni mesi. Avendo “scoperto” il mio rapporto con Tatarella, da quel momento De Benedetti cominciò a tempestarmi di telefonate un giorno sì e l’altro pure, per chiedermi di convincere il ministro ad assegnargli in via definitiva la licenza Omnitel. Non potevo aspettarmi nulla da un editore che, qualche anno prima, mi aveva rimosso senza preavviso dalla direzione dell’Espresso per insediare un suo fedelissimo come Rinaldi.”