Wilbur Smith: con “Il dio del deserto” ritorna sul “luogo dell’Egitto”

Wilbur Smith: con "Il dio del deserto" ritorna sul "luogo dell'Egitto"
Wilbur Smith: “Il dio del deserto”

ROMA – Wilbur Smith ritorna sul “luogo dell’Egitto” con “Il dio del deserto” (Longanesi, 512 pagine, 19,90 euro). A 81 anni lo scrittore zambiano di origini britanniche vanta 122 milioni di copie vendute in tutto il mondo, dei quali 23 milioni solo in Italia. Fernanda Pivano definì Wilbur Addison Smith come “il più importante scrittore d’avventura dei nostri tempi”.

Gran parte dei suoi romanzi raccontano la colonizzazione dell’Africa meridionale da parte degli inglesi e degli olandesi fra il ‘500 e il ‘600. Fra i suoi titoli più noti ci sono Uccelli da preda, Monsone, Cacciatori di diamanti, Il settimo papiro, Il destino del cacciatore.

La ricca produzione di Smith è stata divisa in “cicli”: i Courtney, i Ballatyne, Hector Cross e il ciclo egizio. Il “dio del deserto” è il quinto capitolo delle storie egiziane, che hanno come protagonista lo scriba Taita, consigliere intimo del Faraone. Questa volta Smith parla dell’invasione degli Hyksos nel delta del Nilo, 16 secoli avanti Cristo. Scrive Nicole Cavazzuti sul Messaggero:

«periodo poco noto della storia dell’Egitto e per questo particolarmente stimolante», chiarisce. Per tentare di scacciare il nemico, Taita chiederà l’appoggio del re di Creta, il potente Minosse, ma sarà solo l’inizio di mille peripezie… Anche in questo romanzo non mancano infatti battaglie, intrighi e colpi di scena, sullo sfondo di Babilonia, Sidone e Creta. E c’è pure spazio per l’amore (impossibile), con le due vivaci figlie della regina Lostris, Tehuti e Bakatha, innamorate di un luogotenente e di un soldato della flotta.

Cavazzuti ha intervistato Smith:

Lei oggi vive a Londra, ma mantiene uno stretto legame con l’Africa.
«Sono nato in Zambia da genitori inglesi e dopo aver trascorso l’infanzia nel ranch di mio padre, mi sono trasferito in Sudafrica. L’Africa è sorprendente per flora, fauna e tradizioni. Ma soprattutto, amo gli africani: sono un popolo gioioso, positivo e allegro».
Perché dopo sette anni ha ripreso le avventure del ciclo egizio?
«Perché me lo ha chiesto Taita. Io non decido nulla a tavolino: sono i protagonisti dei miei libri che mi parlano e mi dicono se vogliono partecipare a nuove avventure o se preferiscono godersi la quiete conquistata».
Alla fine de “Il dio del deserto” Tehuti e Bakatha decidono di non tornare in Egitto. È il preludio per una nuova avventura?
«Lo spero: sono molto affezionato a Taita. Ma è presto per parlarne…».
Sua moglie Mokhinisio, però, ci ha appena mostrato il manoscritto del suo trentasettesimo romanzo. Di che cosa tratta?
«Ve lo racconto l’anno prossimo!».
È vero che “Il dio del deserto” è il primo frutto del suo progetto di bottega letteraria e che si è avvalso della collaborazione di due autori?
«No, questo romanzo è opera esclusivamente mia e di Taita. È vero, però, che ho preso contatto con due autori di successo disponibili a lavorare con me in futuro. L’idea è realizzare una sorta di sinopsi, scrivendo tutti i capitoli in appena dieci-quindici righe. I co-autori dovrebbero poi ampliare la storia, che io vaglierei, in un circolo virtuoso. Potrebbe essere un ottimo modo per perpetuare i miei romanzi, anche quando dovessi rallentare nella scrittura».
Vorrebbe lasciare del materiale per pubblicare i suoi romanzi postumi?
«No, non mi interessa: voglio essere sempre presente e attivo nella scrittura dei miei libri».
Veniamo alle sue letture. Quali libri l’hanno sorpresa quest’anno?
«La mia vita è fatta di scrittura e di letture. Lettore onnivoro, divoro tre o quattro libri alla volta. Anche quelli brutti, perché mi interessa capire che cosa non funziona in un romanzo. E leggo, ovviamente, anche i bestseller perché mi interessa comprendere i gusti del pubblico. Uno dei miei autori preferiti, comunque è Stephen King».
Ma c’è una ricetta per scrivere un romanzo di successo?
«Intanto, è fondamentale raccontare una bella storia, ovvero ricca di suspence, ma allo stesso tempo credibile, in cui ci sia spazio anche per l’elemento amore. L’aspetto più complesso, però, è scrivere in modo semplice, capace di appassionare il lettore. Credo che questa sia una qualità innata, che nessuna scuola di scrittura può insegnare».
Quanto è amato dai lettori, tanto è osteggiato dalla critica. Che rapporto ha con la critica letteraria?
«Dobbiamo convivere. Non mi fa piacere leggere recensioni negative nei confronti dei miei libri, ma non mi lascio influenzare»
Ha mai pensato di scrivere un’autobiografia?
«Non sono così umile da escluderlo: sarebbe l’ultimo inganno supremo»
Taita è il mago, il medico, il poeta, il consigliere intimo del faraone, insomma: è l’uomo che regge nell’ombra le sorti dell’ Egitto. Chi è il Taita di oggi?
«Non ci sono più personaggi di tale spessore. Anche nel campo della politica, nessuno oggi può vantare grandi doti. Gli ultimi validi politici, secondo me, sono stati Ronald Regan e Margaret Thatcher».
La sua opinione su Obama?
«Penso sia un uomo decisamente simpatico, ma un politico mediocre».

Interessanti anche le risposte di Smith alle domande di Luca Crovi del Giornale

In che cosa consiste il fascino dell’Africa?
«È un continente costituito da nazioni ed etnie diverse. E questo è indubbiamente un buon materiale da utilizzare per noi scrittori. Ancora oggi l’Africa è così studiata e visitata perché resta qualcosa di misterioso in quei luoghi, qualcosa di ancora vergine. L’Africa è stata conquistata e sfruttata, ma non vinta. È da sempre una fonte inesauribile di risorse, ma ha un ritmo di vita suo. Ha un suo scorrere del tempo capace di vincere qualsiasi conquistatore».
E la civiltà egizia, in particolare?
«L’Egitto è stato la culla della civiltà. Gli egiziani hanno scoperto la religione, l’architettura, la filosofia, la medicina, la tecnica di forgiare le armi, l’astronomia e molte di quelle “cose” che ci hanno reso popoli civili. Quando ero bambino venne scoperta la tomba di Tutankhamon e questo ha rivoluzionato l’archeologia, ma anche la nostra conoscenza del popolo egizio. Mia mamma rimase colpita da quel ritrovamento. Mi fece vedere le foto apparse sui giornali, mi lesse molti articoli di quel periodo, mettendo così in moto la mia immaginazione. Mi sono sempre sentito vicino a quella civiltà. Il Museo del Cairo è per me un luogo meraviglioso dove ho passato intere giornate. Ora non posso farlo per motivi di salute, ma ci tornerei volentieri tutti i giorni. L’Egitto è stato il centro della civiltà e da Alessandro Magno ai Romani tutti gli hanno dovuto tributare rispetto».
Come si è documentato su quel mondo?
«Ho letto decine e decine di monografie storiche e romanzi sull’Egitto. Ma soprattutto l’ho visitato molte volte, vedendo i siti archeologici e organizzandomi degli speciali tour lungo il Nilo. Una volta noleggiai persino una carovana con quattro cammelli e cammellieri. Partendo dal Nilo e arrivando al Mar Rosso conobbi il deserto e il grande fiume. Ho studiato l’Egitto, l’ho sognato, l’ho vissuto e poi l’ho raccontato nei miei libri».
Il protagonista dei suoi romanzi del ciclo egizio è un uomo davvero singolare…
«Ho scelto Taita perché mi permetteva il controllo totale delle mie storie. Se avessi scelto un faraone non avrei avuto la stessa libertà narrativa e non sarebbe stato nemmeno divertente. È un personaggio con tante dimensioni: scriba, inventore, guerriero, consigliere. Molti dicono che è molto ambizioso e vanitoso, in realtà un uomo del suo calibro non avrebbe potuto che comportarsi come lui, a quei tempi. Capisco benissimo la sua vanità, perché gli permette di sopravvivere a tutto, anche al fatto di essere stato castrato e reso un eunuco. Può essere saggio, gentile, cortese, ma anche crudele».
Taita combatte contro nemici unici nel loro genere.
«Ho deciso di utilizzare il più possibile gli Hyksos perché sono un popolo di cui si sa poco. Avere a disposizione avversari del genere mi ha permesso di caratterizzarli come volevo io, senza che nessun egittologo potesse dirmi che ne avevo sbagliato la ricostruzione storica. Sono un popolo feroce, cupo, al quale ho dato tradizioni oscure e di cui ho sviscerato le caratteristiche guerriere. Erano perfetti per essere i nemici di Taita, il quale odia queste creature dell’ombra e che cerca di fare di tutto per sconfiggerli».
Perché nel suo nuovo romanzo ha fatto incontrare egizi e cretesi?
«La civiltà Minoica mi ha sempre attratto perché è stata centrale nello sviluppo del Mediterraneo. Poi all’improvviso, dopo esserne stata una delle dominatrici, è completamente scomparsa. È credibile che la società egizia e quella del re Minosse si siano incontrate».

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