ROMA – Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi, smetisce di aver ricoperto incarichi nel fondo di Privat Equity dela società Sopaf. La società è al centro di una inchiesta per una presunta truffa.
La nota dell’Inpgi:
Con riferimento ad alcune notizie di stampa dei giorni scorsi, è necessario chiarire i profili attinenti alla diversità tra la Società Sopaf SpA – con la quale sono stati intrattenuti i rapporti commerciali relativi all’acquisto delle quote del FIP “Fondo Immobili Pubblici” nel marzo 2009 – e il Fondo “Adenium Global Private Equity”, fondo comune di investimento mobiliare, originariamente costituito con la denominazione di “SOPAF Global Private Equity, poi modificato in Adenium Global Private Equity e, di recente, in “Global Private Equity” – gestito, come avviene per tutti i fondi di tale natura, da una SGR – nel caso specifico la Società Sopaf Sgr, successivamente divenuta Adenium Sgr e da ultimo sostituita da Wise Sgr.
Mentre nella suddetta Società Sopaf Sgr/Adenium Sgr il Presidente Camporese non ha mai ricoperto alcun incarico, nel Fondo di Private Equity ha fatto parte del Comitato tecnico consultivo, assumendone la carica di Presidente, negli anni dal 2012 al 2013, in conseguenza dell’avvenuto acquisizione, da parte dell’Inpgi, di alcune quote nel dicembre 2010, al termine dell’espletamento di una selezione finanziaria volta ad individuare possibili investimenti nell’ambito del private equity, nella quale il Fondo “Adenium Global Private Equity” è risultato uno dei sei Fondi nei quali l’ente ha deciso di investire.
In tutti i fondi comuni di investimento è peraltro normativamente previsto che venga istituito un Comitato tecnico consultivo, formato da membri che rappresentano i soggetti che detengono la proprietà delle relative quote. Tale organismo ha proprio la funzione di consentire una verifica dell’attività svolta dalla Sgr attraverso il rilascio di pareri che, in base al regolamento del Fondo, possono avere valore obbligatorio e vincolante per determinate materie e solo obbligatorio per altre. Si tratta, quindi, di una attività debitamente regolamentata a tutela degli stessi quotisti e per la quale, di prassi, è prevista una remunerazione a favore dei membri del Comitato stesso.
Per tali ragioni, quindi, ovunque l’Inpgi investa in fondi alternativi (private equity e fondi immobiliari) importi minimi per i quali è prevista la partecipazione ai Comitati, il Presidente Camporese partecipa in prima persona ovvero delega Dirigenti o Funzionari dell’ente quali componenti dei relativi Advisory Board o Comitati Consultivi. A titolo puramente informativo, su 14 fondi dei quali l’Inpgi è titolare di quote, Camporese ha preso parte a tali organismi in quattro casi, designando in altri dieci casi Dirigenti e Funzionari dell’Istituto.
Pertanto, è evidente che la sua partecipazione è avvenuta proprio ed esclusivamente in virtù dell’acquisto delle quote del Fondo in oggetto da parte dell’Istituto.
Per quanto riguarda il compenso, peraltro, il Presidente Camporese ha dichiarato che lo stesso è devoluto in opere di beneficenza.Riassumendo, quindi, è evidente l’assoluta diversità delle situazioni, la prima avvenuta nel marzo del 2009, che ha avuto ad oggetto l’acquisto da Sopaf Spa di quote del Fondo Immobiliare FIP, gestito dalla Società di gestione Investire Immobiliare Sgr, e la seconda, che ha rappresentato un investimento in un fondo comune, gestito dalla società Sopaf Sgr/Adenium Sgr, per effetto del quale – per prassi costante e come normativamente previsto – Camporese ha assunto il ruolo di componente del Comitato tecnico consultivo.
In relazione alla questione relativa alla strutturazione degli accordi intervenuti nel 2009 con la Società SOPAF per l’acquisto delle quote del Fondo “FIP”, con particolare riferimento alla clausola contrattuale che prevedeva “l’immodificabilità del prezzo di vendita”, si fa presente che tale modalità – che ha consentito all’Istituto di pagare un prezzo ritenuto coerente con le aspettative di rendimento dell’investimento attese – rappresenta lo standard delle operazioni finanziarie aventi ad oggetto titoli non negoziati su un mercato regolamentato, come – per l’appunto – erano le quote del fondo FIP. Tali quote, infatti, non sono liberamente trasferibili in quanto possono essere acquistate solo da particolari categorie di investitori (c.d. “investitori qualificati”) e di conseguenza non possono essere oggetto di quotazione perché mancanti di questo requisito fondamentale.
Negli schemi negoziali aventi ad oggetto transazioni finanziarie, il prezzo può essere, viceversa, pattuito come “modificabile” quando il titolo è quotato e si vuole tenere conto delle eventuali oscillazioni di prezzo tra la data di firma del contratto e la data del closing, ossia la data in cui avverrà il trasferimento della proprietà.
Del tutto priva di fondamento è, infine, l’affermazione relativa alla presunta assenza dell’indicazione del valore delle quote acquistate. Infatti, il contratto di acquisto prevedeva il trasferimento di originarie 224 quote ad un prezzo di 30 milioni di euro, il che consente – effettuando una semplice operazione aritmetica – di determinare il valore di ciascuna singola quota in 133.928,56 euro, successivamente trasformato – per effetto del trasferimento di una quota supplementare, a titolo di ulteriore sconto – in 133.333,33 euro.
Con riferimento ai criteri di determinazione del prezzo, si fa presente che l’operazione è avvenuta in un mercato secondario ristretto, riservato ad operatori qualificati e istituzionali, per il quale non esiste un listino ufficiale di riferimento che registri le contrattazioni effettuate. Pertanto, all’epoca venne tenuto in considerazione il valore ufficiale del NAV (cioè del patrimonio del Fondo al netto dei debiti) così come certificato dagli esperti indipendenti della SGR – peraltro sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia – che hanno il compito specifico di redigere ogni sei mesi la valutazione economica del patrimonio. Inoltre, è stato tenuto conto del volume di rendimento atteso, che – per tale classe di investimento – appariva, così come si è in effetti rivelato, essere di assoluto rilievo, attestandosi su una percentuale di rendimento annuo lordo del 9,53% e consentendo all’INPGI di incassare, ad oggi, proventi pari a 10,7 milioni di euro sui 30 milioni di euro investiti all’epoca.
Va aggiunto che, essendo intervenuto l’acquisto in un periodo antecedente l’incasso della cedola, tale prezzo era comprensivo anche del diritto ad incassare, immediatamente dopo il perfezionamento dell’acquisto, il dividendo relativo al secondo semestre 2008 e ai primi due mesi del 2009 (che si è rivelato essere pari a 975.000,00 euro lordi, 780.480,00 netti, con un rimborso del capitale per 75.600,00) che sarebbero altrimenti spettati al venditore.
Infine, relativamente ad alcune notizie diffuse sulla vicenda, si precisa che il presunto danno subito dall’Istituto – stimato da qualcuno in 10,9 milioni, quale differenza tra il prezzo d’acquisto da parte dell’Istituto e la “Quotazione ufficiale su Bloomberg del Fondo” – deriva da un mero errore di valutazione in quanto chi ha formulato tale ipotesi, probabilmente, ha individuato o analizzato il valore dello strumento Fip Founding Srl (titolo obbligazionario derivante dalla cartolarizzazione degli immobili), quotato su Bloomberg, confondendolo con il Fondo Immobiliare FIP (Fondo immobiliare degli immobili pubblici), realmente acquistato dall’Inpgi.