WASHINGTON – Lo si ricorda più come il direttore del Watergate che come colui che cambiò radicalmente il Washington Post, portandolo al successo. Benjamin C. Bradlee, più noto semplicemente come Ben Bradlee, è morto martedì 21 ottobre nella sua casa di Washington. Aveva 93 anni.
Fu (anche) merito suo se i due giovani cronisti Bob Woodward e Carl Bernstein seguirono la storia che portò al più grande scandalo politico della storia americana. Bradlee soffriva da anni del morbo di Alzheimer e di demenza senile ed è morto per cause naturali.
La notizia è stata data dallo stesso quotidiano sul suo sito, accompagnando la serie di articoli con una sua foto in bianco e nero. Il presidente americano Barack Obama, che lo scorso anno gli aveva consegnato la medaglia della libertà, lo ha elogiato per aver aiutato gli americani a capire il mondo in cui vivono attraverso il suo giornalismo. “Lo standard che ha fissato, per onestà, obiettività e la meticolosità del racconto, ha incoraggiato molti altri a intraprendere la professione”, ha scritto Obama. A ricordarlo anche Woodward e Bernstein: “Un vero amico e genio”, hanno scritto sul Post.
La storia più avvincente mai pubblicata da uno dei direttori più carismatici del Washington Post (rimase a dirigere il giornale per 26 anni) fu senz’altro proprio quella del Watergate che portò alle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon, nell’agosto del 1974, la prima e unica volta di un presidente americano e che fece guadagnare al giornale il premio Pulitzer.
Ma la decisione più importante presa da Bradlee, insieme all’editore di allora Katharine Graham, fu quella di pubblicare nel 1971 alcuni articoli basati sui cosiddetti ‘Pentagon papers‘, ovvero le 7mila pagine di documenti top-secret sulla guerra in Vietnam. L’amministrazione Nixon si rivolse al tribunale per cercare di bloccarne la pubblicazione, ma la Corte Suprema accolse la richiesta del Washington Post e del New York Times di pubblicare la vicenda.
Con Bradlee in redazione, prima come capo redattore poi come direttore, le vendite del Washington Post quasi raddoppiarono così come la redazione. Bradlee, infatti, allargò la rete di corrispondenti intorno al mondo, aprì diversi uffici nella regione di Washington e in altri Stati, e creò altre sezioni nel giornale, per esempio ‘Style’, una dei progetti di cui fu più orgoglioso e che poi fu copiato da altre testate.
Ma il suo punto di forza divenne anche la sua debolezza quando fu tradito da uno dei suoi giovani reporter: Janet Cooke scrisse una storia che riguardava un tossicodipendente di 8 anni. La cronista vinse il premio Pulitzer nel 1981, ma furono in molti a dubitare della veridicità. Alla fine, Cooke confessò di averla inventata.
“La credibilità di un giornale è il suo bene più prezioso e dipende molto spesso dall’integrità dei suoi giornalisti. Quando questa viene meno, le ferite sono gravi e non c’è altro da fare che dire la verità ai lettori, chiedere scusa al comitato del premio Pulitzer e iniziare immediatamente a risalire la china per guadagnare quella credibilità”, disse all’epoca Bradlee. In seguito, Janet Cooke restituì il premio e si licenziò dal Post.