Bruno Vespa a Cazzullo: “Ripresi a lavorare solo dopo la vittoria di Berlusconi”

Bruno Vespa a Cazzullo: "Ripresi a lavorare solo dopo la vittoria di Berlusconi"
2001: Berlusconi firma il contratto con gli italiani ospite nello studio tv di Bruno Vespa (LaPresse)

ROMA – Bruno Vespa ricominciò a lavorare solo dopo la vittoria di Berlusconi: lo racconta lo stesso giornalista ad Aldo Cazzullo, in un’intervista pubblicata su Sette (settimanale del Corriere della Sera).

Vespa presenta Sale, Zucchero e Caffè, il suo libro annuale, in cui parla di sé e dell’Italia in cui è cresciuto. “Nonna Aida diceva che sale, zucchero e caffè non dovevano mancare mai”.

L’esordio nel giornalismo avviene al Tempo, un giornale che appoggiava la destra democristiana. Lei racconta però di essere stato un giovane fanfaniano.
«Sì. Mi è sempre piaciuto, e ancora mi piace, il cattolicesimo sociale; che è cosa diversa dalla sinistra Dc, a volte più settaria dei comunisti. Una volta D’Alema mi disse: “Non capisco perché uno come lei non possa votare per noi”. Subito aggiunse: “Ho capito, la sinistra Dc. Ma io la distruggerò!”».

Non è andata proprio così… Cosa intende per settarismo della sinistra?
«Le faccio un esempio. Ero direttore del Tg1. Mi dimisi, senza trattare nulla: un vero cretino. Non mi fecero più lavorare. Chiedevo: direttore, posso girare un servizio? Risposta: “Sì, ma se non si vede la tua faccia”. Ricominciai solo dopo la vittoria di Berlusconi, che praticamente non conoscevo. In un pomeriggio intervistai Occhetto, Martinazzoli che annunciò le dimissioni, e la sera il Cavaliere in tuta che preparava il programma di governo».

Lei e Gianni Letta sognate da sempre un Berlusconi “democristianizzato”. Ma la sua natura è un’altra, non crede?
«Berlusconi ha grandi difetti; ma ha dato voce un’Italia, tutt’altro che minoritaria, che non l’aveva mai avuta. Alla fine anche lui ha ceduto al delirio di onnipotenza che prima o poi colpisce tutti i politici, compreso Mario Monti: il Cavaliere è caduto sulle donne, il Professore sulla “salita in politica”; se fosse rimasto fermo, oggi sarebbe al Quirinale».

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