Cesare Lanza racconta la nostra stampa con le grandi firme: quale futuro per il giornalismo? Cesare Lanza racconta la nostra stampa con le grandi firme: quale futuro per il giornalismo?

Cesare Lanza racconta la nostra stampa con le grandi firme: quale futuro per il giornalismo?

Cesare Lanza racconta la nostra stampa con le grandi firme: quale futuro per il giornalismo?
Cesare Lanza racconta la nostra stampa con le grandi firme: quale futuro per il giornalismo?

ROMA – Si è tenuta mercoledì 14 marzo a Roma, presso la Fieg, la presentazione dell’ultimo libro di Cesare Lanza “Ecco la (nostra) stampa, bellezza” (ed. La Vela, 12 €). E’ una rassegna di giornalisti, di ieri e di oggi, si legge nel sottotitolo, grandi e meno grandi. Una galleria di brevi ritratti, che si sviluppa in appena 200 pagine, in cui l’autore affronta, con stile secco ed arguto e a tratti anche caustico, 60 anni di onorata carriera.

Disarmante come Humphrey Bogart, nei panni di Ed Hutcheson alla fine del film Deadline-Usa (1952), quando pronuncia la frase cult che dà il titolo al libro, Cesare Lanza restituisce una carrellata di personaggi che hanno fatto la storia del cosiddetto “mestieraccio”. Li ha incontrati tutti, con alcuni ha lavorato, per altri è stato maestro e demiurgo. Alcuni sono morti, assurti all’Olimpo dei Grandi. Cesare Lanza non esagera mai nell’incensare questo o quello. Sono pagine anche sferzanti le sue, che offrono aneddoti, riflessioni e ricordi, raccontati dal pugno di chi ha avuto il privilegio di abitare in un mondo di carta e inchiostro forse morituro, perché fiaccato da una crisi inesorabile. Un libro che soprattutto i giovani che si affacciano al mestiere, dovrebbero leggere e assimilare.

Testimonial di quel mondo e di queste pagine, sono proprio i protagonisti del libro che Cesare Lanza ha invitato al tavolo per parlare non solo del suo “stravagante libello ma anche del futuro della carta stampata”, spiega prima di lasciare la parola ai suoi prestigiosi ospiti. Intervengono Stefano Folli, Agazio Loiero, Ferruccio De Bortoli, Lucia Annunziata, Antonio Padellaro e Mario Pendinelli.

Tutti magistralmente ritratti nel libro di Lanza, tranne una, la Annunziata, che, per prima cosa, sente l’urgenza di cavarsi dall’imbarazzo. Il momento è esilarante. “Ricevo la telefonata da un numero anonimo – racconta la conduttrice di In 1/2 Ora – ed era Cesare Lanza che mi invita alla presentazione del suo libro. Rimango sorpresa perché non ci frequentiamo. Mi arriva questo libro e lo sfoglio. Nei direttori non ci sono: va bene ho fatto solo tre direzioni e una presidenza, capisco che non è sufficiente. Vado a guardare tra gli inviati ma non ci sono. Sarò tra le donne? Macché. Sarò tra i giornalisti televisivi? Nemmeno. Allora mi toccherà il capitolo Sopravvalutati? Neppure. E allora penso: Ma tu guarda questo stronzo. E’ un genio”. Così è nata una promettente amicizia. “Verso Lucia ho sempre avuto un timore reverenziale. La stimo moltissimo”, precisa Lanza. E promette: “Nella prossima edizione avrai un posto speciale”.

Al di là delle gag, quello che ne viene fuori è un dibattito interessante: il libro di Cesare Lanza offre l’occasione per una dichiarazione d’amore collettiva, dal sapore un po’ nostalgico, per quello che è il mestiere più bello del mondo, ma anche diversi spunti e ipotesi di salvezza per il giornalismo di domani.

Stefano Folli.

Esperto. E’ l’aggettivo che Cesare Lanza gli assegna nel suo libro, classificandolo nel capitolo degli “Atipici”. A lui riconosce il titolo di “analista politico più lucido e intelligente”. E tale è la riflessione che Folli restituisce. Il passaggio che più lo ha colpito del libro di Lanza è il ricordo di Arrigo Benedetti: “Cesare Lanza dice che è stato il più grande direttore del dopoguerra e lo è stato per una ragione che contiene in sé una risposta alla domanda che ci è stata posta in principio, sul futuro della carta stampata. Arrigo Benedetti è stato il continuatore di Mario Pannunzio, si è inserito in quel filone di giornalismo di alta qualità. Ma è stato anche colui che ha aperto le porte a un giornalismo che non era soltanto per una élite colta, ma era per un pubblico più ampio. L’uomo che è stato capace di mettere insieme i piani alti e i piani bassi dell’informazione. E siccome Cesare Lanza, nella sua vita professionale, ha sempre cercato di unire insieme l’alto e il basso, ha fatto trasmissioni televisive di grande popolarità, rivolte a un grande pubblico, ma è stato ed è un intellettuale, il fatto che indichi in Benedetti un modello, significa molto. Direi che è questa, la strada su cui ci dobbiamo oggi incamminare per superare una crisi a volte sconfortante della carta stampata”.

Agazio Loiero.

L’attributo che Lanza sceglie per lui è: Indeciso, collocandolo nel “girone” dei “Virtuosi e affabulatori”. Pur riconoscendogli i successi politici – Loiero è stato due volte ministro e governatore della Calabria – Lanza gli rimprovera di aver abbandonato la carriera giornalistica, cedendo alle lusinghe della politica. Il suo intervento è il più nostalgico di tutti: tre sono le cose che più ha apprezzato nel libro, il ricordo di Montanelli, di Gianni Brera e di Fortebraccio. “Io sono innamorato del vecchio giornalismo – confessa Loiero – Mi piace insudiciarmi con la carta dei giornali, mi piace la morbidezza delle pagine, il fruscio della carta. Non è solo il ricordo struggente dei giornaloni lunghi, non veloci come internet, soppiantati già da un pezzo dalla tv”. E denuncia le storture dei nuovi mezzi, in particolare del web: “Su internet ci sono frammenti sgrammaticati, ci sono le fake news, c’è la post verità, che è una perdita totale della verità”.

Ferruccio De Bortoli.

Il “fiore all’occhiello” della carriera di Cesare Lanza. Cardinalizio, lo definisce l’autore riconoscendo in lui la stoffa del “dirigente nato”. De Bortoli, che con Lanza ha mosso i suoi primi passi al Corriere d’Informazione (pomeridiano del Corriere della Sera), ricorda il colloquio che ebbe con lui quando lo assunse. “Ero il più giovane del gruppo al Corriere dei ragazzi. A colloquio Lanza mi fece una domanda a cui non seppi rispondere. Ma tu disprezzi il potere? Direttore sì, certo, e me la cavai con una risposta molto diplomatica. Essere diplomatico è uno dei tanti difetti che mi ha rimproverato negli anni”. La lezione che Lanza gli ha lasciato: “Essere imprevedibili, avvincenti, diretti, spregiudicati qualche volta. Ma sempre con una attenzione al particolare, senza scadere in quella che lui chiamava una malattia della professione, la sciatteria”.

Lucia Annunziata.

Strepitosa, è l’aggettivo che le andrebbe assegnato. Col suo solito piglio deciso e mai scontato, Lucia Annunziata porta al tavolo una ventata di modernismo. Riconosce a Cesare Lanza di aver saputo raccontare “il mestiere più bello perché è uno dei pochissimi legati al contenuto: puoi essere anche raccomandato ma vale una sola volta, se non porti contenuti”. Ma denuncia i limiti di un mondo che è rimasto “profondamente elitario”. “C’è molto più establishment nell’editoria – spiega la direttrice di Huffington Post –  in particolare nella carta stampata, che nel mondo della politica per esempio. Il mio caporedattore al Manifesto mi diceva sempre: Ricordati che i politici passano e noi restiamo, quando devi fare una intervista sei sempre tu che fai un favore a loro e non il contrario”.

Seppur “completamente d’accordo con lo spirito di questo libro e di questo tavolo, che in fondo la carta stampata è un sistema superiore”, Lucia Annunziata non si arrende alla nostalgia. “La verità è che la televisione prima e oggi internet sono una straordinaria acquisizione collettiva, con tutti i loro problemi e difetti”. E conclude, rivolgendosi a Lanza: “Secondo me il mondo che descrivi è un mondo bellissimo e affascinante, di cui sono orgogliosa di far parte. Però involontariamente hai anche descritto la ragione per cui questo mondo non ci legge più. La carta stampata non è il luogo dell’intelligenza: è un’abitudine. E internet non è il luogo della menzogna. Spesso i giornali di carta sono pieni di trombonerie, proprio perché arrivano il giorno dopo. Vorrei che noi abbandonassimo questo senso di nostalgia: bisogna avere la capacità di scrivere cose intelligenti mentre succedono”.

Antonio Padellaro.

Il suo ritratto si trova nel capitolo dei “Duttili ed estroversi”. Di lui Lanza ricorda un incontro ad Arcore con Berlusconi, al termine del quale avrebbe definito il Cavaliere come “persona cortese, gentile, veramente squisita”. “Ma io scherzavo”, si giustifica Padellaro rivendicando la sua fama di antiberlusconiano di ferro. L’aggettivo finale di Lanza è: Orgoglioso.

Padellaro, che non lesina mai critiche, suggerisce all’autore: “Questo libro lo avrei titolato “Io, io, io e il resto dei giornalisti”, perché con un’abilità luciferina sei riuscito a raccontare 100 giornalisti parlando sostanzialmente di te, con la tua esperienza straordinaria”.

Quanto al futuro della stampa, la sua analisi è severa ma giusta: “Questa crisi che i numeri mettono in evidenza, più che dalla crisi dei giornali, nasce dalla crisi del giornalismo perché si è persa l’abitudine di andare a cercare fuori quello che succede e raccontarlo. I grandi giornali americani non si sono accorti che Trump stava vincendo perché il New York Times era rimasto a raccontare quello che pensavano gli elettori della cerchia di Manhattan e lì in quel perimetro hanno votato tutti per Hillary Clinton. Ma nessuno è andato a capire e vedere cosa stesse accadendo nel resto degli Stati Uniti”.

Questo è il punto nevralgico secondo l’ex direttore del Fatto Quotidiano: “Credo che i giornali come tutti i prodotti di questo mondo, in tutti i settori, possano risalire la china se ridiventano uno strumento di informazione reale, di interesse per i lettori, di divertimento”.

Mario Pendinelli

Classificato tra i “Direttori di Potere”, Pendinelli è descritto da Cesare Lanza come giornalista “incompiuto, colto ed onesto”. L’aggettivo: “Passionale”. L’ex direttore del Mondo individua l’origine di molte delle grandi firme raccontate nel libro di Lanza e cioè quello straordinario prodotto che fu Omnibus, il primo rotocalco italiano, inventato da Leo Longanesi, “un formidabile artigiano”. “Noi in Italia – spiega – siamo sempre stati bravi a fare gli artigiani. Anche i grandi giornali come il Corriere erano prodotti artigiani. Il prodotto di massa non lo abbiamo mai saputo fare, in primis perché mancava la materia prima: i lettori. Quando è nata la stampa questo era un Paese di analfabeti”. Anche per Pendinelli, la medicina di tutti i mali del giornalismo è la qualità: “Il Washington Post, per il secondo anno, ha chiuso i bilanci in attivo. Hanno fatto un giornale di qualità, è inutile fare giornali per un pubblico che non c’è”.

Gianni Letta.

Breve incursione in sala anche di Gianni Letta, storico braccio destro di Berlusconi, ma anche ex giornalista e direttore per quasi 15 anni del quotidiano Il Tempo. “Il periodo più bello della mia vita”, confessa. Letta si professa “uomo di carta, tenacemente attaccato a quel fruscio che Loiero ha descritto in maniera così poetica. Non voglio credere a quella profezia, secondo la quale i giornali di carta saranno soppiantati”. E assicura: “Fino a quando esisteranno i giornalisti come quelli che Cesare Lanza ha allevato e oggi ci racconta, la carta stampata resisterà”.

Insomma, per dirla con Humphrey Bogart, è la stampa, bellezza! e tu non puoi farci niente.

 

 

 

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