Copyright, il Parlamento Ue congela la riforma. Cosa sono l’art. 11 (link tax) e l’art. 13 (up-load filter)

Copyright, battaglia all'ultimo voto sulla riforma. Cosa sono l'art. 11 (link tax) e art. 13 (up-load filter)
Copyright, battaglia all’ultimo voto sulla riforma. Cosa sono l’art. 11 (link tax) e art. 13 (up-load filter)

ROMA – La Plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo ha votato contro l’avvio dei negoziati fra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue sulla proposta di direttiva per la riforma del copyright. Il testo tornerà a essere esaminato e votato dalla prossima sessione plenaria del Pe a settembre. A votare a favore 278 eurodeputati, mentre i no sono stati 318 e 31 gli astenuti.

Una lotta senza quartiere all’ultimo voto che aveva mobilitato tutti, da Wikipedia al vicepremier Di Maio, dagli editori dell’Enpa ai musicisti dell’Impala, tra chi parla di bavagli a internet e fa profezie sulla morte della Rete, e chi invece rivolge appelli a tutela della sopravvivenza della stampa libera e dell’industria creativa e culturale. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] In gioco, gli interessi miliardari dei giganti del web, da Google a Facebook (e la sopravvivenza degli aggregatori di notizie, tutt’altro che big), ma anche la remunerazione di chi, dai giornalisti agli artisti, lavora per produrre molti di quei contenuti che riempiono il web.

E’ lo scenario tra l’apocalittico e il distopico alla vigilia della votazione sul copyright a Strasburgo, dove l’Europarlamento – completamente spaccato – scegliendo di non concedere il mandato a negoziare con Commissione e Consiglio Ue allontana e per il momento scongiura l’approvazione di un testo finale della riforma.

Il contestato testo – in particolare degli articoli 11 sulla ‘link tax’ in realtà per accordi tra editori e piattaforme, e 13 sui ‘filtri’, per accordi tra industria creativa e piattaforme – adottato dalla commissione affari giuridici, infatti, è solo uno dei tre sul tavolo, insieme alla proposta originale della Commissione (leggi qui il testo originale in Pdf) e alla posizione degli stati membri, con cui dovrà trovare un compromesso finale. Gli esiti del voto di domani sono completamente incerti: tutti i gruppi politici, nonostante le posizioni di ‘scuderia’, sono spaccati al loro interno con dissidenti.

Art. 11, “link tax”: obbligo di licenza quando si condividono frammenti di articolo tramite link. Nei media l’art. 11 è diventato noto come link tax, ma si tratta di un compenso da parte delle piattaforme digitali verso i produttori di contenuti (editori) quindi la parola tassa è fuorviante e comunque non riguarda gli utenti. Nel mirino non c’è il collegamento ipertestuale in sé (il link), ma quello che in gergo si chiama snippet, cioè le due righe di riassunto a corredo di foto e titolo che appaiono, per esempio, sulla bacheca di facebook. La norma mira a far “ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l’uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni” agli editori di “pubblicazioni giornalistiche”.

E’ vero che la norma impatterebbe sulle piccole piattaforme piuttosto che sui big. In Spagna, dove una norma del genere è stata applicata, Google ha semplicemente chiuso Googlenews: risultato, un calo del traffico pagato soprattutto dai piccoli editori digitali, aggregatori di notizie in testa. La norma esclude divieti per fini non commerciali, con particolare attenzione per piattaforme istituzionali, accademiche, scientifiche, ecc… (non è rivolta in sostanza a Wikipedia).

Art. 13, “up-load filter”, e cioè il filtro che impedisce di caricare contenuti protetti su Youtube o Instagram. Il testo dell’articolo dice che “le piattaforme devono intraprendere, in cooperazione con i detentori dei diritti, misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di lavori o altri argomenti che infrangano il diritto d’autore o diritti correlati, mentre quelli che non infrangono queste regole possono rimanere disponibili”. Chi combatte questa norma grida alla legge “bavaglio”, alla censura preventiva: una volta introdotto un filtro nulla garantisce che se ne sommino altri a cascata. Anche qui, a rimetterci sarebbero i piccoli, non in grado di aggiornare tecnologicamente le piattaforme per assecondare i requisiti richiesti.

Le posizioni. I popolari, di cui fa parte il tedesco relatore del provvedimento Axel Voss, sono favorevoli a dare il mandato, ma alcuni colleghi connazionali voteranno contro. Lo stesso dicasi per i socialisti, dove per esempio tra gli eurodeputati Pd, favorevoli, ci sono comunque contrari come Daniele Viotti. Stessa spaccatura tra i liberali dell’Alde, ma anche Verdi e Sinistra unitaria, contrari, hanno chi invece voterà a favore. Euroscettici e populisti, da Ukip a lepenisti, generalmente contro la maggior parte di qualsiasi misura Ue, sono contrari, ma nemmeno il loro fronte è coeso.

Unica certezza, il ‘no’ dei 5Stelle, da sempre contrari. C’è una “campagna” in corso da parte dei giganti del web per “influenzare i legislatori europei diffondendo fake news” e che “potrebbe avere effetto, vedremo domani”, ha detto il relatore Voss. Il dito puntato è in particolare contro la Ccia, “la lobby americana delle grandi piattaforme e dell’industria hi-tech che sta dietro”, secondo la socialista francese Virginie Rozière.

Un’opinione condivisa anche da 150 tra le varie associazioni europee di editori, musicisti, produttori, tv, artisti e così via, che hanno parlato di “campagna cinica da parte delle società tech” facendo “allarmismo che la direttiva sul copyright sarebbe la fine di internet” ma “sono vent’anni” che lo dicono per ogni misura a tutela del diritto d’autore e, come mostrano i fatti, “non è mai successo”. Il motivo? Secondo i musicisti indipendenti di Impala, le piattaforme “stanno andando benissimo a far soldi”, per questo “a loro piace il mondo digitale così com’è”. In Italia, di parere opposto la Confindustria digitale, “preoccupata”, mentre la Cgil auspica un voto a favore.

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