ROMA – Da oggi, 2 gennaio 2014, il Corriere della Sera costa a chi lo compra in edicola 1 euro e 40 centesimi (e il week end 1 e 90): con l’aumento di 10 centesimi, il Corriere della Sera diventa il giornale più caro d’Italia, rompendo il muro del suono del prezzo, con un rischio elevato di conseguenze incalcolabili.
La maggior parte degli altri giornali, almeno fino a oggi. si è allineata sul prezzo di 1 euro e tranta centesimi, che comunque costituisce un valore molto elevato rispetto alla percezione del valore dei giornali da parte dei lettori e anche rispetto a parametri empirici di raffronto come il costo di una tazza di caffé.
In un comunicato il Comitato di redazione del Corriere della Sera (leggi qui), è molto critico nei confronti della gestione del management di Rcs e del suo amministratore delegato Pietro Scott Jovane che ha deciso l’aumento.
Il Comitato di redazione, che è l’organo sindacale interno dei giornalisti, dice delle cose sacrosante, perché la scelta aziendale di aumentare il prezzo può fare molto male al Corriere, la testata di maggiore potenziale economico di Rcs.
Non saranno certo 10 centesimi di ricavo in più (che netto costi di rete scende a 7 centesimi) a coprire la massa dei debiti di Rcs. Al di là della crisi contingente e anche di quella strutturale dell’editoria, il problema di Rcs è che fu comprata un’azienda, la spagnola Recoletos, a prezzi fuori dal mondo quando già il mondo, e la Spagna in particolare, stavano entrando in una crisi che non avrebbe mai più consentito rendimenti capaci di ripagare il debito fatto per l’acquisto.
Il Comitato di redazione, però, non tocca, e non è nemmeno il suo dovere istituzionale, uno dei problemi fondamentali del Corriere della Sera, come di ogni altra impresa editoriale, quello degli stipendi dei giornalisti, che al Corriere sono probabilmente i più alti d’Italia. Il Corriere bacchetta tutti gli stipendi di tutti gli altri sopra i mille euro al mese, contribuendo la sua parte a montare il clima di angoscia e di invidia che incombe sull’Italia. Finora tuttavia non pare abbia mai pubblicato quelli dei suoi redattori, in particolare dei suoi battaglieri moralisti.
L’aumento di Capodanno 2014 è per Corriere della Sera il terzo in 12 mesi, un record. Nota il Comitato di redazione:
Agli inizi di agosto, il prezzo del Corriere in edicola era passato da 1,20 a 1,30. E nel mese di aprile era stato aumentato il prezzo nelle giornate di venerdì e di sabato. Tre aumenti in un anno è un record assoluto. Inoltre, nella seconda metà del prossimo anno il formato del Corriere sarà ridotto, assumendo le dimensioni di altri giornali concorrenti, tra i quali La Stampa.
Prezzo maggiorato per un prodotto più magro: è un paradosso emblematico per descrivere l’avvitamento dell’editoria nazionale ai tempi di internet, costi sempre troppo alti in linea con retribuzioni elevate, crisi strutturale della raccolta pubblicitaria nei primi 10 mesi del 2013, che in termini di fatturato vale la metà di quanto era nel 2008. In un mercato della pubblicità sfasciato dalla Sipra concessionaria della tv pubblica, che per contrastare Mediaset ha ingaggiato una guerra dei prezzi che ha finito per strangolare la stampa e anche internet.
C’era un dato empirico di semplice buon senso nella gestione editoriale, il rapporto tra prezzo del giornale e quello della tazzina di caffè al bar. Questo indice infallibile del rapporto fra prezzo dei giornali e costo della vita, ormai è stato alterato in modo stratosferico: il caffè è rimasto fermo e oscilla fra 90 centesimi e un euro, quello dei giornali ormai a 1,30 nella larga maggioranza delle testate, con il Corriere della Sera in fuga a 1,40.
In effetti è calzante l’immagine, tratta da Indro Montanelli, citata dal Cdr, che associa la strategia del management a un miope “che, prima di alzarsi, tasta il comodino alla ricerca degli occhiali”.
Così, a tastoni, si è raggiunto il deprimente risultato per cui le copie dei giornali sono la metà di cinque anni fa: sul calo hanno certamente influito gli aumenti di prezzo intervenuti in questi anni. All’interno di questo circolo vizioso l’unico modo per ridurre le perdite è alzare il pezzo finale: precipitando la stampa nel tritacarne di un mercato asfittico e ingessato, dove l’offerta di informazione gratuita è immensa, a cominciare dalla Tv per finire con internet.
Se questa è la triste condizione generale per l’editoria e i giornali, il caso Corriere della Sera segna un passaggio decisivo nella gestione da parte di un editore che, a giudicare dalle accuse del Cdr, scarica sul quotidiano le scelte finanziarie sbagliate. E sui punti toccati, non c’è dubbio che il Sindacato abbia ragioni da vendere. Poi ci sono altri temi, ma non si può pretendere troppo da una parte sola.
Così afferma il omunicato del 21 dicembre del Cdr del Corriere della Sera:
“L’aumento del prezzo è una mossa dissennata e profondamente miope: a questo punto possiamo solo contare sulla comprensione e l’attaccamento dei lettori del Corriere.
I ricavi dovrebbero aumentare offrendo un Corriere sempre più innovativo e completo. Ma per fare questo occorrerebbe un altro passo. «Tutti i nostri concorrenti sono certamente più veloci di noi», ha detto Jovane nel suo messaggio natalizio. Ed è una frase che ci sentiamo di condividere. Tutti dobbiamo accelerare, lo chiediamo anche alla direzione editoriale. Dopodiché l’amministratore delegato ha addossato le responsabilità del ritardo a un’entità quasi metafisica, evocando strutture interne troppo burocratiche. No, cari lettori, non ci siamo. Vogliamo davvero mettere in fila «le responsabilità»?
Ecco:
1) Fino al 2007 Rcs Mediagroup era un’azienda florida. Poi gli azionisti, che sono più o meno quelli di oggi, e il management, guidato dall’amministratore delegato Antonello Perricone, si imbarcarono nell’acquisto della spagnola Recoletos, che portò l’indebitamento a un miliardo di euro. Decisione sciagurata, su cui sta indagando la Procura di Milano, in seguito a un esposto presentato dall’Ordine dei giornalisti sulla base dei comunicati pubblicati da questo Comitato di redazione.
2) Quest’anno il debito è stato abbattuto grazie a un aumento di capitale di 400 milioni. Ci sarebbe la possibilità di attivarne un’altra tranche per 200 milioni, ma l’amministratore delegato non lo fa. Perché? Forse, ipotizziamo, perché la Fiat dovrebbe coprire la maggior parte delle risorse con il rischio di essere poi obbligata per legge a lanciare un’offerta pubblica di acquisto su tutte le azioni. Per oltre 15 anni la Fiat e gli altri azionisti hanno staccato dividendi per centinaia di milioni. Oggi, semplicemente, chiedono di spremere il Corriere pur di mantenerne il controllo.
3) Le principali banche creditrici, IntesaSanPaolo (che è anche azionista), Unicredit e Ubi hanno accettato di rifinanziare il debito in cambio di condizioni capestro. Una su tutte: obbligo di vendere cespiti patrimoniali per restituire 250 milioni di euro entro il 2014.
4) Il direttore finanziario ha dichiarato in questi giorni che il gruppo non ha chiesto la rinegoziazione del debito. Peccato, perché è quello che andrebbe fatto con urgenza.
5) L’amministratore delegato, pur di non disturbare i padroni-azionisti e le banche, ha cominciato a menare fendenti al Corriere e al resto del gruppo. Aumenti di prezzo, svendita del palazzo, tagli di testate. Di questo passo finirà con il segare il ramo su cui è seduto non solo lui, ma centinaia di dipendenti. Questo ramo si chiama Corriere della Sera , un giornale che continua a guadagnare decine di milioni di euro, grazie alla fedeltà dei lettori e al lavoro di giornalisti e poligrafici”.
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