Diffamazione e bavaglio. Protesta monta ma Enrico Costa: “Civiltà giuridica”

Diffamazione e bavaglio. Protesta monta ma Enrico Costa: "Civiltà giuridica"
Diffamazione e bavaglio. Protesta monta ma Enrico Costa: “Civiltà giuridica”

ROMA – Crescono polemica, indignazione e consapevolezza del misfatto che si sta per compiere contro la libertà di stampa attraverso la nuova legge sulla diffamazione, in discussione alla Camera dei Deputati. Repubblica rompe il silenzio che ha avvolto finora la legge liberticida, al punto da farci rimpiangere i tempi di Berlusconi, quando, per odio a lui e non per amore della nostra libertà, la sinistra almeno faceva qualcosa di sinistra. Ora Repubblica prende posizione e titola:

“Diffamazione, bavaglio alla stampa. Sparisce la reclusione per i giornalisti ma in cambio la nuova legge prevede multe da migliaia di euro, rettifiche senza diritto di replica, “oblio” che cancellerà i fatti. Scatta una raccolta di firme contro”.

La presa di posizione è affidata a Liana Milella, che produce un articolo centrato a metà:

“Per una volta, contro i giornalisti, sembrano proprio tutti d’accordo. Niente divisioni politiche in questo caso. La legge sulla diffamazione, una delle peggiori tra le tante che si sono succedute ormai da un decennio in Parlamento, incombe alla Camera. Atto 925-B. Se dovesse passare così com’è adesso, il bavaglio per la stampa, anche e soprattutto per quella online, è assicurato. Multe da migliaia di euro, rettifiche ad horas, ma soprattuto quell’odioso “diritto all’oblio” che non c’entra nulla con la legge, ma che finirà per cancellare la memoria stessa di centinaia di fatti. Il giornalismo scomodo ha le ore segnate, cronisti ed editori rischiano di immolare sull’altare della cancellazione del carcere la libertà stessa di fare questo mestiere, senza gioghi e senza incubi.
Pare proprio che non ci sia nulla da fare. Intorno alla legge sulla diffamazione, già approvata al Senato e oggi in commissione Giustizia alla Camera in attesa degli emendamenti, si registra soprattutto consenso. Perfino i rappresentanti della categoria, quando sono stati ascoltati, hanno dato la netta impressione che, sull’altare del carcere definitivamente abolito, sarebbero disposti ad accettare una legge pesante, che sta mettendo in profondo subbuglio tutto il mondo dell’informazione online”.

Uno dei punti chiave della nuova legge è il ribadimento dell’obbligo di rettifica, che esiste fin dal 1948 ma di cui finora i giornali si sono allegramente infischiati. Ora le norme sono un po’ più stringenti e soprattutto per il web scivolano nel ridicolo. Non è la causa principale dell’allarme, come sembra di avere capito Liana Milella, ma pesa

“la previsione di un meccanismo rigido della rettifica, il “prezzo” che ogni tipo di stampa, dai quotidiani, alle testate registrate sul web, ai libri, alla tv, dovrà pagare per evitare le manette. Basta leggere questa lapidaria indicazione contenuta nel testo: “Il direttore è tenuto a pubblicare la rettifica gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo”. Inutile cercare di far capire che per una pena del carcere rara come l’araba fenice, cadrà addosso a tutti i giornalisti e ai direttori italiani un obbligo di rettifica capestro.
La nuova legge impone di pubblicare la nota del presunto diffamato non solo entro 48 ore, la legge dice già così da oltre 60 anni] ma soprattutto senza alcuna chiosa. [Questa è la grande novità: i politici, stanchi di vedersi le rettifiche sgonfiate dalle di solito centrate repliche dei giornalisti, li vogliono letteralmente imbavagliare].
Il tempo estremamente risicato impedirà di poter verificare se la richiesta è fondata oppure se si tratta di un’imposizione pretestuosa e arrogante, come purtroppo avviene molto spesso. Non solo: la negazione del diritto di replica, ai limiti della costituzionalità, mette a rischio il giornalista e il direttore della testata, una figura parafulmine, che risponderà di ogni riga pubblicata, anche anonima.
Se la rettifica non esce, perché viene considerata spropositata e inaccettabile, ma soprattutto falsa dagli autori del pezzo e dai responsabili della testata e ovviamente dagli avvocati difensori, il presunto diffamato potrà rivolgersi al giudice che a sua volta potrà segnalare il caso pure all’Ordine professionale per una rivalsa disciplinare sul cronista. È superfluo aggiungere che, nel caotico mondo del web e delle tv che trasmettono news 24 ore al giorno, una rettifica così congegnata rischia di provocare la paralisi dell’informazione”.

Poi ci sono le multe:

“Fino a 10mila euro per una diffamazione commessa, per così dire, in buona fede. Ma se invece c’è “cattiva fede”, se è stato pubblicato «un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità» (definizione, in verità, un po’ ridicola), allora la multa andrà da 10 a 50mila euro”.

Qui la situazione per i giornalisti è molto peggio di come l’ha capita Liana Milella:

“In tempi di crisi, una cifra simile potrà avere effetti catastrofici sui magri bilanci delle aziende editoriali e produrrà un solo effetto, una stretta automatica sulle notizie, forme di autocensura, raccomandazioni alla prudenza e alla cautela”.

Trattandosi di multe alternative al carcere, sono fatti individuali del giornalista, non sanzioni come nelle cause civili in cui scatta la solidarietà fra giornalista e azienda, Qui la multa è proprio del giornalista e basta.

Manca dall’articolo di Liana Milella l’aspetto più inquietante della nuova legge, la norma che stabilisce che, nel caso delle testate on line, sede del processo sia quella di residenza del querelante. A parte ogni considerazione sui possibili inquinamenti giudiziari quando si gioca fuori casa, come le cronache di questi anni ci hanno più volte insegnato ammantando il concetto nella incompatibilità o eccesso di compatibilità ambientale, valgono questi concetti:

1. come è possibile che lo stesso articolo di Repubblica (come di tutti i giornali con edizione su carta e online) sia giudicato da due tribunali diversi, quello della città dove si stampa il giornale nel caso dell’edizione su carta e quello della città dove risiede il querelante per l’on line? Magari con due sentenze diverse? Dove è finito il principio della certezza del giudice? La norma è costituzionale? Cosa ne dicono i solerti funzionari di Camera e Senato, pronti a fare alta politica ma evidentemente poco inclini a occuparsi di queste banalità?

2. quanto può costare uno scherzo del genere a un giornale come Repubblica o il Corriere della Sera, dove a memoria d’uomo le cause non sono mai state inferiori a 300. Un rozzo conto della doppia difesa parte da un minimo di mezzo milione di euro. Per piccoli editori tutto in proporzione, ma il danno non sarebbe meno pesante.

Liana Milella ha anche intervistato Enrico Costa, vice ministro alla Giustizia, nato in Forza Italia e poi trasmigrato in Ncd. Non è un curriculum politico rassicurante per un giornale che si è appiccicato i post it sulla bocca contro il bavaglio di Berlusconi, eppure nessuno sembra accorgersene. Enrico Costa, premette Liana Milella,

“ribadisce che «il 2015 dovrà essere l’anno in cui questo testo si approva una volta per tutte»

e nega di volete punire la stampa e mettere il bavaglio a chi scrive liberamente:

“È esattamente il contrario, perché il punto qualificante della legge è il fatto che si cancella il carcere per i giornalisti che potranno essere puniti solo con una pena pecuniaria»”.

Liana Milella fa notare che il prezzo che i giornalisti pagheranno è esoso ed esagerato. Costa replica serafico:

“Tutt’altro. Si pensi, ad esempio, all’istituto della rettifica che diventerà una causa di non punibilità. È un classico esempio di giustizia riparatoria».

Super multe: sono accettabili in tempi di grave crisi dell’editoria? Non sono una forma indiretta di censura?

“Di fronte all’abolizione del carcere costituiscono l’unica sanzione penale, a questo punto inevitabile”.

Davanti a un simile campione di liberalismo, Liana Milella chiede se il governo non intenda far nulla per riequilibrare il testo. Qui Enrico Costa raggiunge il sublime e, come si dice, se la canta e se la suona. Lui che come parlamentare ha presentato la legge, come vice ministro ne ha presidiato il percorso in Parlamento perché non si esagerasse in garantismo, replica soave:

“Si tratta di una proposta di legge nata in Parlamento, a fronte della quale le valutazioni sono più politiche che tecniche. Certamente formuleremo il nostro parere sugli emendamenti alla luce anche dell’approfondita indagine conoscitiva svolta dalla commissione Giustizia della Camera”.

Liana Milella trasecola: lei davvero non si rende conto che la legge è del tutto punitiva? che è per via delle inchieste che colpiscono la politica corrotta che alla fine il testo sarà approvato?

“Questa legge ha ripreso un testo approvato a grandissima maggioranza dalla Camera addirittura nel 2005 e mi pare che siano proprio i giornalisti a chiedere l’abolizione del carcere. Non si può pretendere l’impunità a fronte di diffamazioni conclamate. Questo nel primario interesse dei giornalisti stessi. Questa è una legge di civiltà giuridica. Nessuno deve essere privato della libertà per un reato di opinione”.

 

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