Carcere giornalisti per diffamazione: governo chiede, Cnog rinvia Carcere giornalisti per diffamazione: governo chiede, Cnog rinvia

Diffamazione, governo chiede carcere per giornalisti. Udienza rinviata grazie a Cnog

ROMA – Il governo Conte ha chiesto la conferma del carcere per i giornalisti in caso di diffamazione aggravata a mezzo stampa. L’approvazione sarebbe potuta arrivare durante una riunione a porte chiuse presso la Corte Costituzionale, ma il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti (Cnog) si è opposta e l’udienza è stata rimandata.

La notizia si è appresa lo scorso 11 aprile, come annunciato dal presidente del Cnog Carlo Verna: “Davvero il presidente Conte condivide che il carcere ai giornalisti per diffamazione sia legittimo, come ha scritto l’Avvocatura dello Stato nel rappresentare la Presidenza del Consiglio davanti la Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità sul tema?”.

Verna aveva poi aggiunto nell’annuciare il rinvio: “L’Ordine dei giornalisti ha chiesto e ottenuto, per la prima volta nella storia, la qualità di interventore. Chi sostiene disinvoltamente che si potesse rinunciare su un tema così rilevante, per fare presto e chissà in che modo, a uno dei cardini del processo in democrazia, costituito dalla sua pubblicità, tutto ha a cuore meno che la libertà di stampa”.

Anche Pierluigi Franz, presidente Sindacato Cronisti Romani, sul sito dell’Associazione stampa romana tuona in una nota contro la richiesta del governo. Franz sottolinea come il carcere per i giornalisti sia previsto solo in alcuni asi eccezionali: “cioè quando siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali, come, per esempio, discorsi di odio o di istigazione alla violenza, come affermato più volte dalla Cedu, o qualora il giornalista dia una notizia diffamatoria e non rispondente al vero, ma nella piena consapevolezza della sua falsità, come affermato dalla Cassazione”.

Franz prosegue: “Insomma, tranne questi casi assolutamente circoscritti, i giudici italiani, in caso di condanna di un giornalista per diffamazione a mezzo stampa, non dovrebbero più infliggere più il carcere, ma eventualmente solo multe, in quanto la reclusione in cella appare incompatibile con il diritto di cronaca e rappresenta un limite sostanziale alla libertà di informazione e quindi al sistema democratico del nostro Paese”.

Secondo il presidente del Sindacato Cronisti Romano, il governo ha fatto due scelte: “La prima formale: la decisione di costituirsi in giudizio davanti alla Corte Costituzionale. Non è un obbligo la costituzione in giudizio, è una facoltà. In molti casi negli ultimi anni l’Avvocatura dello Stato non si è costituita ritenendo fondate le eccezioni sollevate dalla magistratura. La seconda sostanziale: secondo la memoria presentata dal nostro Governo l’attuale disciplina normativa imperniata sulla diffamazione e sulla previsione “ordinaria” del carcere sarebbe pienamente rispettosa della norma Cedu”.

L’Odg ha quindi ottenuto che l’udienza del 21 aprile fosse rimandata e Franz commenta: “Bene ha fatto quindi l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, che due mesi fa era stato ammesso a costituirsi in giudizio davanti alla Consulta, ad optare per questa scelta anche per evitare che si prendesse una storica decisione quasi sotto silenzio, senza filmati e ad insaputa dell’opinione pubblica”.

E prosegue: “Stupisce, però, che a distanza di quasi 143 anni dal duello che si svolse a Roma la sera del 18 maggio 1877 tra un deputato della sinistra e un giornalista del quotidiano “Il Fanfulla” (da tempo non più in edicola) per un articolo ritenuto diffamatorio, duello che per fortuna si concluse in modo incruento con la vittoria dell’onorevole, ma da cui nacque il Sindacato dei giornalisti, non si sia ancora trovata la soluzione al problema della possibile pena del carcere per il giornalista condannato in via definitiva per diffamazione aggravata a mezzo stampa. E ciò nonostante si siano registrati da più di 40 anni fiumi d’inchiostro, decine e decine di iniziative parlamentari tutte insabbiate e promesse da marinaio da parte dei politici senza mai venire a capo di nulla”.

E conclude: “Ci si augura quindi che questa tormentata vicenda abbia finalmente fine in breve tempo e nel modo migliore e più equo possibile, come è già avvenuto con la depenalizzazione del reato di ingiuria, previsto dall’art. 594 del codice penale, decisa nel 2016 dal Parlamento. Il buon senso deve prevalere”. (Fonti: ANSA, Associazione Stampa Romana)

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