ROMA – Diffamazione a mezzo stampa: ecco il testo, approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, del disegno di legge che vuole
“modificare la legge 8 febbraio 1948, n. 47, il codice penale e il codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione” (Norme di legge sulla stampa attualmente in vigore).
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La legge ha origini lontane: era partita con le intenzioni di mettere un grande bavaglio all’informazione, staffetta Prodi Berlusconi. Per fortuna Berlusconi volle troppo, volle usarla contro i giudici e perse. I giornalisti, incapaci o troppo signori per tutelare i propri diritti, scesero in piazza per difendere le intercettazioni. Tutto si arenò.
Poi, sotto forma di Salva Sallusti, era mutata in un frutto avvelenato: niente carcere, dove solo pochissimi sono andati, ma multe salatissime peggio del carcere per tutti.
Per salvare un altro giornalista del campo di Berlusconi, Giorgio Mulé, era evoluta in un bavaglio,
Ora appare come un mezzo bavaglio. Ma anche di un mezzo bavaglio si può morire. Non c’è più il carcere per i giornalisti condannati, ma c’è la bancarotta per le testate più deboli.
«Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, si applica la pena della multa da 5.000 euro a 10.000 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena della multa da 20.000 euro a 60.000 euro».
Per le testate online, una novità sarà la rettifica da inserire in testa all’articolo:
«Per le testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell’articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate non oltre due giorni dalla ricezione della richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono, nonché in testa alla pagina dell’articolo contenente la notizia cui si riferiscono, senza modificarne la URL, e con caratteristiche grafiche che rendano evidente l’avvenuta modifica».
La norma ha un aspetto esilarante. Prima ancora di leggere l’articolo di cui si parla, il lettore si dovrà sorbire la smentita di chi si sente offeso, nei limiti di 30 righe, di cui però non è specificata la larghezza, per cui si deve presumere un totale di 750 battute, moltiplicando per 30 righe le più o meno 25 battute delle righe giustezza 9 dei quotidiani del 1948. Poi seguirà la notizia. Al giornalista, pena sanzioni, non è dato scegliere, né c’è un terzo che valuti. Sarà un’invasione: politici, gente dello spettacolo, criminali si sentiranno offesi per qualsiasi affermazione non gradita, anche solo perché lo spaccio era di marijuana e non di eroina.
Nel web c’è spazio per tutto, ma almeno sotto, non sopra l’articolo. Sarebbe anche controproducente. Chi mai si metterebbe a leggere un articolo con questo titolo:
“Rettifica dell’articolo [TITOLO] del [DATA] a firma di [AUTORE]“
come previsto dall’art 1, comma 2 della legge ora al Senato?
C’è una clausola vessatoria. la smentita va pubblicata entro due giorni. Ci sono studi di avvocati specializzati nel web, che mandano smentite e richieste di cancellazione di articoli nel cuore della notte. Se la notte quella tra venerdì e sabato, è possibile che anche al Corriere della Sera la rettifica sfugga. Pensate a Blitzquotidiano. Siamo condannati a condanna perpetua.
Il testo di legge così com’è appare anche un regalo a Beppe Grillo, perché le norme più restrittive, in particolare quella sulle smentite, sono proprio quelle riservate ai giornali on line che sono iscritti al Registro della stampa.
Questo esclude i blog, il che vuole dire che se Blitzquotidiano scrive cose che sono giudicate false dall’interessato è obbligato a una assurda procedura di rettifica. Mentre Beppe Grillo, che ha venti volte la diffusione di Blitzquotidiano, non lo deve fare. Il paradosso sarà quando un sito registrato riprenderà una notizia da un blog: il giornale sarà tenuto alla rettifica, il blog che ha lanciato la presunta bugia no.
Se, come detto, in caso di condanna viene escluso il carcere, viene introdotta la pena accessoria della sospensione dall’Ordine professionale. Sempre, in caso di condanna, gli atti vanno trasmessi agli Ordini di competenza per i provvedimenti del caso.
Ma la diffamazione e l’offesa sono parte della libertà di manifestazione del pensiero, che deve trovare un unico limite, quello della legge penale. A questa non sipuò aggiungere il giudizio dei colleghi costituiti in tribunale accessorio. L’uno dovrebbe escludere l’altro.
La cosa più grave è il fatto che le cause saranno discusse nella città dove risiede il querelante. Per i grandi giornali, quelli che devono gestire anche 400 processi per diffamazione, significa un enorme aggravio dei costi, perché si tratta di seguire le querele in decine di tribunali. Siamo nell’ordine dei milioni di euro. Per i piccoli siti, ci vuole molto meno per chiudere.
«Per il delitto di diffamazione commesso mediante comunicazione telematica è competente il giudice del luogo di residenza della persona offesa».
Sarà un incubo, come già è con le conciliazioni e come già avviene ora, in assenza di norme precise, al Sud, inseguire le cause da Cortina d’Ampezzo a Vallo della Lucania.
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