Digital tax, i giganti del web in Italia hanno versato solo 64 milioni di euro

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Nel 2018, i giganti del web hanno versato solo 64 milioni di euro in tasse

MILANO-  L’Italia continua a non incassare molto dai giganti del web che operano sul suo territorio per quanto riguarda le tasse. il problema non è solo italiano ed è riconducibile alla mancata approvazione di una web tax globale.  Ora, rivela un’analisi basata sui dati del 2018 realizzata da R&SMediobanca, si scopre la cifra esatta che il Fisco ha incassato: solo 64 milioni di euro da 15 gruppi con filiali in Italia. Una miseria rispetto ai profitti stellari che macinano queste compagnie.

Microsoft ha infatti versato solo 16,5 milioni, Amazon 6, Google 4,7, Oracle 3,2, Facebook 1,7, Uber 153 mila euro e Alibaba 20 mila euro. Il conto sale a 76 milioni se si includono i 12,5 di tasse pagati da Apple, non inclusa nel campione.

I ricavi aggregati dichiarati in Italia dalle websoft sono stati solo di 2,4 miliardi di euro, pari allo 0,3% di quelli globali, con utili fermi a 64 milioni, una goccia nel mare dei 110 miliardi registrati nel 2018. A livello occupazionale i lavoratori sono aumentati di 1.770 unità, arrivando a quota 9.800, in stragrande maggioranza assunti da Amazon che da noi impiega 4.608 persone.

Il trucco per dribblare il fisco è sempre quello di spostare il fatturato nelle filiali dei Paesi dove si pagano meno tasse, rispetto alle quali le controllate italiane figurano come prestatori di servizi. Le transazioni concluse con l’erario tra il 2015 e il 2018 – Apple ha pagato 318 milioni, Google 306 milioni, Amazon e Facebook 100 milioni a testa – non sono dunque sintomo di un ravvedimento. Semplicemente le websoft trovano più conveniente ‘ottimizzare fiscalmente’ e poi scendere a patti con la giustizia tributaria.

Grazie a Paesi come Irlanda, Lussemburgo, Delaware, Cayman, le 25 società analizzate da Mediobanca hanno risparmiato 49 miliardi nel quinquennio 2014-2018, cifra che sale a 74 miliardi se si allarga il campo ad Apple, con 25 miliardi di euro ‘regina’ dello slalom fiscale, davanti a Microsoft (16,5 miliardi), Google (11,6 miliardi) e Facebook (6,3 miliardi).

Non è un caso che tutte le 14 società Usa incluse nel campione, con l’eccezione di Microsoft, hanno scelto il Delaware come sede fiscale, mentre le 7 cinesi hanno optato per le Cayman. Le tasse risparmiate hanno contribuito ad alimentare quel mare di liquidità – 507 miliardi di euro – di cui le websoft dispongono per annettere startup, consolidando la propria forza sul mercato, ed avviare imponenti piani di buyback con cui sostenere i corsi in Borsa.

Dove le quotazioni sono cresciute in media di quasi il 20% all’anno nel 2014-2018, portando le valutazioni a livelli record, con una capitalizzazione totale di 5.067 miliardi a metà novembre, otto volte tutta Piazza Affari. Ma il boom di Borsa viene in primo luogo alimentato da risultati che surclassano quelli delle multinazionali della manifattura: ricavi saliti a 850 miliardi di euro nel 2018 (+24,5% sul 2017 e +110% sul 2014), con un tasso di crescita pari a sei volte quelli della ‘old economy’, utili in crescita del 20,3% a 110 miliardi, con un saldo di 413 miliardi nel quinquennio, dipendenti quasi raddoppiati (+91,6%) a quota 2 milioni in cinque anni.

Fonte: Ansa

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