ROMA – Rosaria Capacchione, senatrice del Pd e giornalista, ha fatto entrare un refolo di buon senso e di realismo nell’aula del Senato, dove si discuteva della nuova legge sulla diffamazione.
Pochi giorni dopo sarebbe avvenuta, ahinoi, la presentazione, da parte di Laura Boldrini e Stefano Rodotà, presso la Camera dei Deputati dell’utopistica bozza elaborata dalla commissione “per i diritti e doveri relativi ad Internet” finalizzata a imbrigliarci tutti con una fantomatica Costituzione della Rete chiamata “Dichiarazione dei Diritti in Internet”, Rosaria Capacchione ha ricordato alla sinistra italiana che il mondo sta andando da un’altra parte e che non è con i divieti alla libertà di informazione che si va molto distanti.
Rosaria Capacchione fa la giornalista a Caserta per il Mattino di Napoli e vive sotto scorta per le minacce subite dalla camorra, causa le sue urticanti inchieste. Sa cosa è la libertà di informazione, sa che non c’è soluzione di continuità tra le ambizioni dei politici di imbavagliare i giornaliste con la legge e quella dei criminali di metterli a tacere con bombe o pistole.
Ha parlato tra i primi e anche se c’è da temere che le sue parole non avranno grandi effetti sui colleghi senatori e deputati, merita di riportarle per intero:
Ha detto la senatrice del Partito Democratico Rosaria Capacchione:
“Quando parliamo della diffamazione dobbiamo sapere che, quello che domani mattina non sarà pubblicabile su qualunque giornale, nelle forme contenute dalla nostra legislazione, è sufficiente postarlo su un qualunque profilo più o meno anonimo di un social network, per godere di privilegi e impunità da noi inammissibili – dice Rosaria Capacchione – Quindi, andando a legiferare, dobbiamo sapere che il nemico, se così lo vogliamo definire – mi dispiace di non vedere in Aula il senatore Falanga – non è il povero giornalista che pubblica la notizia, tristissima e purtroppo vera, dell’incriminazione di un padre innocente, accusato di aver violentato una bambina malata di cancro”.
Continua Rosaria Capacchione: “Si tratta di un fatto spiacevolissimo, ma che non riguardava la responsabilità dei giornalisti, ma di chi aveva fatto quell’accertamento. Non è dunque di questo che stiamo parlando, ma della possibilità di diffamare impunemente e sistematicamente sulle nuove piattaforme, sui nuovi binari su cui si muove l’informazione, mentre andiamo a cercare il cavillo per bloccare eventualmente inchieste serie e approfondite su temi che riguardano la gestione di grandi affari o di grande appalti o infiltrazioni malavitose, in Regioni che pagano prezzi altissimi per queste ragioni”.
“Vorrei concludere – continua Rosaria Capacchione – dicendo che non so quanti colleghi giornalisti oggi avrebbero saputo resistere a una richiesta di risarcimento danni di 600 miliardi di lire dell’ epoca e quante persone avrebbero accertato, ovviamente nel timore di perdere, una transazione su un fatto che era vero, accertabile e successivamente accertato in sede di giudizio. Credo che nemmeno le grandi testate italiane oggi potrebbe reggere l’urto di una richiesta di questo genere, che pure è stata fatta e che anche con il provvedimento in esame non verrebbe in nessun caso sanzionata”.