Editori: copyright on line! Per articoli non originali? Diritti ai giornalisti?

logo googleGli editori vogliono farsi pagare l’uso delle notizie on line, convinti che il materiale prodotto dalle loro redazioni sia tutto originale e esclusivo. Per questo sotto ogni articolo, nella versione cartacea come in quella web dei giornali italiani, compare la scritta: “riproduzione riservata”. Ora anche i Garanti del Mercato (Antitrust) e della Comunicazione hanno speso parole, anche se due passi avanti e uno indietro.

La battaglia contro la dispersione dei contenuti che contribuiscono a rendere meno forti le spinte all’acquisto dei giornali è vecchia di anni. Fu persa quando, per uno di quei misteri che hanno caratterizzato i comportamenti nel territorio delle comunicazioni da parte del Pd in una delle sue precedenti mutazioni, un disegno di legge anti pirati mirante a fare pagare una “tassa sulle fotocopie” per risarcire gli editori del furto delle rassegne stampa sparì come un fenomeno carsico. Fu l’opera, così si sussurrò all’epoca, di un parlamentare di quel partito più accreditato di quello che aveva elaborato la norma pro giornali.

D’altra parte gli editori non sono stati mai capaci di opporsi alla vanità dei loro direttori e di negare alla televisione l’uso delle prime pagine e di tutti i titoli nelle vetrine, che costituiscono un modo per consentire al potenziale lettore di potere fare a meno di comprare il giornale quando non ci siano notizie che lo interessino.

C’è poi il saccheggio, letteralmente, da parte di radio e tv locali e di siti internet locali del materiale dei giornali provinciali e regionali, che richiederebbe un impegno notevole, forse anche poco redditizio, per controllare gli atti di pirateria e ottenere il giusto compenso.

C’è un esempio francese, dove hanno ottenuto un po’ di milioni di dollari da Google, un fondo di 60 milioni, un piatto di lenticchie a confronto dei profitti realizzati ieri oggi e domani, ci sono i tedeschi impegnati sulla stessa strada, c’è un precedente in Belgio. In Italia finora hanno ottenuto parole. Forse più che chiedere un po’ di soldi, farebbero meglio a contrattare regole più stringenti per Google sull’uso dei loro contenuti esclusivi e originali.

Anche perché non è scritto che le cifre elargite da Google debbano andare solo agli editori dei giornali: Google pesca ovunque e un buon avvocato e delle buone parcelle potrebbero anche portare a una distribuzione del tesoretto su una base diversa da quella auspicata dagli editori.

Quando era in discussione la “tassa sulle fotocopie”, e ancora internet in Italia era agli albori, alla Presidenza del Consiglio, dove si studiava la materia, si coccolava l’idea che i proventi, gestiti dalla Siae, venissero divisi tra editori e giornalisti. La tesi era radicalmente sbagliata, perché nessun diritto d’autore dei giornalisti era stato violato in quanto la retribuzione era da considerare un forfait onnicomprensivo, mentre il danno della mancata vendita penalizzava solo gli editori.

Tuttavia, in un Paese dove la derivata corporativa non è certo finita con la Repubblica di Salò, sorprese del genere sono da mettere nel conto.

Il terreno è scivoloso, anche per un’altra ragione. Il giornale è un unicum quando lo si considera una opera collettiva dell’ingegno, una chiave di carta per interpretare la realtà del giorno o della settimana o del mese. L’accostamento dei titoli, la gerarchia della loro presentazione, il corpo, cioè la dimensione dei caratteri di stampa, le immagini, tutto va visto come un insieme inscindìbile e unico.

Ma per i singoli articoli il discorso può anche prendere strade diverse. Se uno ha la pazienza di leggere con attenzione gli articoli dei giornali, anche dei più grossi e con le redazioni più numerose, per quanto decimate dai tagli e per quanto sempre inferiori di organico agli omologhi di altri Paesi in Europa e in America, finisce per scoprire che solo una frazione del materiale etichettato con il “copyright” è davvero originale e esclusivo.

Fanno ovviamente eccezione le cronache locali, dove il giornale è solitamente “news source”, cioè fonte della notizia: appresa dalle forze dell’ordine, alla Procura della Repubblica, nelle aule di Giustizia come nei luoghi della politica, per strada, nelle interviste.

Ma anche in questo caso, non sempre è così. Esempio: una misteriosa sparatoria a tarda sera in periferia di Milano, quando un’intera famiglia è stata impallinata.

Corriere.it e Repubblica.it avevano la stessa notizia, con l’inizio diverso e anche le ultime righe, secondo una vecchia regola dei corrispondenti dalla provincia verso i grandi giornali del Nord.

Chi non ci crede legga qui: Corriere e Repubblica.

Non ci sarebbe nulla di male, la fonte è l’agenzia Ansa, di cui entrambi i giornali sono soci  e il cui abbonamento pagano a peso d’oro. Un po’ meno credibile è il fatto che entrambi scrivano, sotto le rispettive notizie: pubblicazione riservata. Quanti altri siti avranno portato quella notte quella notizia? Perché uno dovrebbe pagare l’eclusiva?

Parlando di giudiziaria, la trascrizione integrale di verbali è degna di protezione di copyright? A favore di chi? del giornalista che li ha avuti e li diffonde o dello Stato cui quei verbali appartengono?

Ma quando andiamo alle cronache nazionali, già entrano in campo le agenzie di stampa: Ansa, Italia, AdnKronos, Asca e le altre. Il loro mestiere è proprio quello di fornire notizie comuni a tutti, previo canone. La cosa è più che lecita, è una forma di sinergia che ha tradizione orma ultra secolare. Ma resta il fatto che la stessa notizia la si può leggere su più giornali, su più siti, con poca esclusività.

Anche le cronache politiche spesso utilizzano il materiale di agenzia. Il copia incolla delle varie dichiarazioni è pratica sviluppatasi quando ancora si incollavano letteralmente con la coccoina i dispacci (takes) delle agenzie. Che poi quei collage siano anche firmati, lascia comunque poco spazio all’esclusività.

Il culmine lo si raggiunge con le notizie dall’estero, dove raramente ci sono articoli originali non solo nella concezione ma anche nei contenuti. Spesso sono articoli importanti, con la firma di corrispondenti molto costosi, ma di esclusivo, di originale originale, raramente c’è qualcosa.

Segue qualche esempio. tanto per capirci.

1. Un giorno di aprile che dirvi non so, sul sito di un quotidiano compare una notizia sullo stipendio e sulla ricchezza in azioni di Mark Zuckerberg, uno dei fondatori di Facebook.

Sotto c’è scritto l’autore:

Redazione Online, la data e © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Stessa notizia sul sito del principale concorrente.

Sotto nessuna firma, ma

© RIPRODUZIONE RISERVATA.

Anche Blitzquotidiano l’ha pubblicata, senza copyright.

La fonte di tutti è stata l’agenzia Ansa, che ha diffuso più dispacci.

Ma dove l’ha presa l’Ansa?

Dal  New York Times del giorno prima, regolarmente online. Autore Somini Sengupta. Nessuna riserva di copyright.

2. Esce su un quotidiano questo articolo:

“New York e Mosca, le capitali dei super ricchi E la metà dei milionari d’Italia vive a Roma

Pubblicata la classifica annuale delle città: ai vertici anche Londra”.

Un po’ di ricerca è trovi la fonte più recente, ma non la sola: il giornale inglese Guardian.

3. Altro giro, qui su un quotidiano, protetto da copyright. c’è questo articolo:

“Alle elementari in anticipo? Un handicap non un vantaggio bruciare i tempi peserà a vita. Uno studio britannico boccia la scolarizzazione precoce”.

Il lettore pensa che sia frutto dei contatti personali o della ricerca del corrispondente. Certo c’è del lavoro, perché bisogna navigare nei siti, sfogliare i giornali. Ma le fonti sono a disposizione di tutti, on line:

Guardian,

Telegraph,

Independent.

Si può obiettare che questi articoli hanno dato lo spunto, che poi c’è la elaborazione autonoma del giornalista ed è certamente vero.

Ma come farsi pagare da un altro giornalista che prendendo lo spunto da quell’articolo, magari recuperando anche le fonti originali, fa a sua volta una propria autonoma elaborazione?

Copyright? De che?

 

 

 

 

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