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Fabio Galvano, corrispondente Londra della Stampa vince battaglia col Fisco

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Fabio Galvano, corrispondente Londra della Stampa vince battaglia col Fisco

TORINO – L’ex corrispondente de la Stampa da Londra Fabio Galvano ha definitivamente vinto dopo 17 anni la sua battaglia con il fisco sulla tassazione IRPEF nel periodo in cui lavorava in Gran Bretagna. Lo ha stabilito la 5^ sezione civile della Cassazione con sentenza n. 24112 del 13 ottobre scorso ritenendo applicabile la Convenzione tra l’Italia e il Regno Unito per evitare le doppie imposizioni del 21 ottobre 1988, ratificata con legge n. 329 del 1990.

Sono state così bocciate le tesi dell’Agenzia delle Entrate che aveva, invece, vinto 7 anni fa davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

La sentenza n. 24112 del 13 ottobre 2017 della 5^ sezione civile della Cassazione (Presidente Aurelio CAPPABIANCA, Relatore Biagio VIRGILIO) è scaricabile dal sito del ministero Italgiure.giustizia.it

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GALVANO Fabio, elettivamente domiciliato in Roma, via Crescenzio n. 91, presso l’avv. Claudio Lucisano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Mauro Gherner giusta delega in atti;
– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 73/28/10, depositata il 12 ottobre 2010.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19 aprile 2017 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale dott. Riccardo Fuzio, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;

uditi gli avvocati Claudio Lucisano e Mauro Gherner per il ricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. Fabio Galvano ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, è stato rigettato il ricorso introduttivo del Galvano contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per IRPEF e addizionali relative all’anno 2000, per omessa dichiarazione di redditi di lavoro dipendente (stipendi ed altre indennità) percepiti dalla Editrice La Stampa s.p.a., quale giornalista e corrispondente da Londra del quotidiano “La Stampa”.
Il giudice d’appello, premesso che il Galvano nell’anno in contestazione doveva effettivamente considerarsi – in virtù di molteplici e incontestati dati di fatto – residente a Londra, ha in sintesi ritenuto, in base al complessivo quadro normativo richiamato (artt. 4 e 15 della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, ratificata con legge n. 329 del 1990, e artt. 23, 51 e 165 del nuovo TUIR — rectius, artt. 20, 48 e 15 del vecchio TUIR, applicabile ratione temporis -), che il contribuente avrebbe dovuto dichiarare, in Italia, la retribuzione percepita per il lavoro prestato nello Stato di residenza e provare l’ammontare dell’imposta ivi versata, con conseguente applicazione della disciplina dettata dai citati artt. 51, comma 8-bis, e 165 del TUIR.
2. L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione.
3. Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 20, 48, comma 8-bis, 15 e 128 del d.P.R. n. 917 del 1986 (“vecchio” TUIR, applicabile nella fattispecie ratione temporis) e degli artt. 4 e 15 della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni del 21 ottobre 1988, ratificata con legge n. 329 del 1990:
premesso che è pacifico in causa che egli, nell’anno oggetto di controversia (2000), era residente a Londra ed ivi svolgeva la propria attività di lavoro dipendente in qualità di giornalista corrispondente estero per il quotidiano “La Stampa”, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, in virtù dell’art. 15 della citata convenzione il reddito percepito per tale attività è imponibile soltanto nel Regno Unito e non, quindi, in Italia; aggiunge che alla stessa conclusione si perviene in base alla richiamata normativa interna, avente comunque carattere residuale.
1.2. Il motivo è fondato.
La Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, stipulata il 21 ottobre 1988 e ratificata e resa esecutiva con legge 5 novembre 1990, n. 329, prevede, all’art. 15 («Lavoro subordinato»), nella
parte che qui rileva (comma 1), che «i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato».
Va innanzitutto ribadito che la detta convenzione, così come le altre norme internazionali pattizie, riveste carattere di specialità rispetto alle corrispondenti norme nazionali e quindi prevale su queste ultime, dovendo la potestà legislativa essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma, Cost.; cfr. anche l’art. 75 del d.P.R. n. 600 del 1973) (tra altre, Cass. nn. 1138 del 2009, 2912 del 2015, 14474 e 23984 del 2016).
Ciò posto, la norma sopra riportata è chiara nel prevedere che le somme percepite da un soggetto residente nel Regno Unito a titolo di retribuzione di un’attività di lavoro dipendente ivi svolta sono assoggettate a tassazione esclusivamente in tale Stato (cfr., sull’omologo art. 15 della Convenzione tra Italia e Svizzera, in relazione a somme percepite a titolo di t.f.r., Cass. n. 14474 del 2016, cit.).
Le convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione hanno la funzione di dettare norme internazionali di conflitto al fine di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, che si verifica allorché una stessa situazione di fatto economicamente rilevante determina la nascita in capo al medesimo soggetto di due obbligazioni tributarie in relazione a imposte dello stesso tipo previste dalla legislazione di due Paesi diversi, con conseguente ostacolo all’attività economica e di investimento internazionale.
Tale scopo viene perseguito o mediante l’attribuzione del potere d’imposizione fiscale ad uno Stato contraente e, corrispondentemente, con la rinuncia all’esercizio di tale potere da parte dell’altro Stato, oppure viene prevista una potestà impositiva concorrente dei due Stati, con il ricorso allo strumento del credito d’imposta per evitare la doppia imposizione.
Nella fattispecie, che si tratti di potestà impositiva esclusiva di uno dei due Stati (il Regno Unito) discende inequivocabilmente dal fatto che la norma prevede, appunto, che il reddito è imponibile «soltanto» in tale Stato (sul rilievo da attribuire – in base ai criteri interpretativi dettati dall’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati – alla presenza o meno, nelle singole disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni, dell’avverbio «soltanto», al fine di stabilire la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati contraenti, cfr. Cass. n. 23984 del 2016, cit.).
2. Restano assorbiti i restanti motivi.
3. In conclusione, va accolto il primo motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.
4. Mentre si ravvisano giusti motivi, anche in ragione dell’epoca in cui si è formata la giurisprudenza citata, per disporre la compensazione delle spese dei gradi di merito, quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna la resistente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in €. 4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 19 aprile 2017.

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