ROMA – Amanda Todd, Carolina Picchio, Andrea, il ragazzo dai pantaloni rosa e ora il 16enne romano che si è gettato dalla finestra, preso in giro perché gay. “Sono omosessuale e non ci posso fare niente”. Un messaggio di sei righe su Facebook prima di gettarsi dal terzo piano della propria scuola, l’istituto nautico “Colonna” di via Pincherle, a Roma. Cyberbullismo lo chiama qualcuno. Quando i “bulli di Facebook” spingono al suicidio: da Amanda Todd a Carolina Picchio. Ma cosa si può fare? Facebook si interroga.
Facebook si interroga perché in ballo ci sono tanti soldi, quelli degli inserzionisti stufi di vedere foto minacciose, commenti con bestemmie o insulti accanto al proprio banner pubblicitario. I soldi contano, contano più di qualsiasi suicidio, cadavere o lettera d’addio. Sopratutto per la società di mister 9.4 miliardi di dollari, “il più giovane ricco al mondo.” Non solo pubblicità. Facebook&soci infatti non vogliono rischiare cause miliardarie con organizzazioni ebraiche, di quelle dei musulmani, delle associazioni dei gay e delle lesbiche, di migliaia di donne.
In Italia per esempio il Movimento italiani genitori ha deciso di trascinare l’azienda di mister 9.4 miliardi di dollari davanti al tribunale di Roma per omesso controllo nel caso di Carolina Picchio, la ragazza che si è suicidata pochi giorni fa dopo la pubblicazione sulla rete sociale dei video girati durante una festa tra ragazzi.
“Il sistema di sorveglianza non funziona” ha ammesso Facebook. Basta pagine come “Violenta la tua amica solo per ridere”. Basta post come quello dedicato a Rihanna. La foto del volto tumefatto della popstar dopo esser stata picchiata dal compagno accompagnata dalla scritta: “Le migliori hit di Chris Brown.”
I sistemi di controllo automatico che selezionano foto e linguaggio in base a nudità o insulti non funziona. Ma dov’è il confine? In America – scrive Massimo Gaggi per Il Corriere della Sera – il diritto a esprimersi liberamente è tutelato dalla Costituzione anche i casi estremi, purché non vengano violati delle leggi. L’hate speech, la diffusione dell’odio, può quindi essere legalmente censurato, mentre molto più controversi sono gli interventi nei casi di uso di quelli che vengono definiti «linguaggi crudeli o insensibili”. Qual è il confine tra censura e controllo?