Facebook, la punizione dei mercati. Anche Twitter piange Facebook, la punizione dei mercati. Anche Twitter piange

Facebook, la punizione dei mercati. Anche Twitter piange

Facebook, la punizione dei mercati. Anche Twitter piange
Facebook, la punizione dei mercati. Anche Twitter piange

MILANO – Meno 6,8 e 2,5% nelle ultime due sedute di Borsa. Nello stesso lasso di tempo persi 50 miliardi di capitalizzazione, più o meno il valore della Ford, con il patrimonio personale del fondatore dimagrito di oltre 5 miliardi di dollari. E’ la punizione dei mercati, quella che si sta abbattendo su Facebook e Mark Zuckerberg.

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Preludio, forse, della fine della festa per i social. Almeno quella economica, quella che ha portato in quel mondo miliardi ed investitori che ora cominciano ad essere meno sicuri. Lo scandalo è quello di Cambridge Analyitca, la società che con i 50 milioni di profili ottenuti attraverso Facebook avrebbe orientato le ultime più importanti elezioni del mondo occidentale: il referendum sulla Brexit e soprattutto l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. In queste ore dietro la società inglese sta emergendo guarda caso il nome dello stratega della campagna di Trump, quello Steve Bannon ora silurato dal Presidente Usa ma che ha avuto un ruolo decisivo nella vittoria sulla Clinton.

Tutto comincia però lontano, on line e vale a dire su Facebook. E’ da lì che escono i profili di ignari cittadini che saranno poi bersagli mirati di campagne d’informazione o disinformazione. E la reazione dei mercati anticipa semplicemente quella del mondo e della politica. Dopo la diffusione della notizia dello scandalo, il titolo della società di Zuckerberg ha cominciato a perdere – e il suo fondatore con discreto fiuto ha venduto prima contenendo i danni personali, ma questa è un’altra storia -, seguito poi anche da Twitter, secondo social per eccellenza. A stretto giro di ruota sono arrivate le prese di posizione del Parlamento Europeo, che per bocca del suo presidente ha chiesto chiarimenti alla società di Menlo Park, dell’Autorità per la Privacy italiana, del Bundestag tedesco e soprattutto di Londra, che ha chiesto formalmente a Zuckerberg di presentarsi per spiegare.

Per non parlare poi dell’indagine avviata dalla Federal Trade Commission, l’antitrust americana, per capire se Facebook abbia violato un accordo ventennale sulla privacy dei suoi utenti siglato nel 2011. Violazione che potrebbe prevedere una multa di 40 mila dollari per ogni utente ingannato, per un totale di 2 mila miliardi. La politica dunque si sta accorgendo che il mondo dei social non può essere lasciato ad una sorta di far west digitale dove i big del settore hanno la libertà e l’impunità di fare quello che vogliono. Esattamente come erano le terre di frontiera americane nell’800 dove, una volta ‘scoperte’ andava portata la legge per evitare che vigesse quella del più forte, lo schok Cambridge Analytica può tradursi in un ripensamento del mondo dei social. Ripensamento che vorrebbe dire più regole e più controlli in cambio di più sicurezza. Una cosa buona, almeno nelle intenzioni. Ma non è un mistero che i mercati e la finanza non vadano d’amore e d’accordo con le regole.

I mercati lo immaginano e credono che andrà in questo modo, o almeno assegnano a questa possibilità buone probabilità. Per questo il titolo di Facebook ha segnato il secondo tonfo consecutivo a Wall Street e negli ultimi 3 giorni è passato da un valore per azione di 183 dollari a 168, trascinando nel baratro l’impotente e incolpevole Twitter (-10,7%). E per ora Zuckerberg tace, sia nel mondo reale che su Facebook.

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