Gli “spazzini” del web per salvare la “e-reputazione”

Il mestiere di Andrea Barchiesi è lo spazzino. La strada che deve tenere pulita si chiama internet, ed è piuttosto lunga. A lui si rivolgono sempre più manager, politici, personaggi dello spettacolo o semplici cittadini, insomma chiunque abbia a cuore quella che viene chiamata la «e-reputazione».

Nell’epoca in cui basta “googlare” un nome sul web per credere di conoscere una persona, la cura della propria immagine online rischia di diventare essenziale. Un business in espansione. Negli Usa ci sono società che propongono abbonamenti come fossero polizze, per una vita senza incidenti virtuali. Con 15 dollari al mese, la californiana Reputation Defender monitora il web e avverte i clienti di ogni nuovo commento o immagine che appare online. Se c’è qualcosa di sgradito, scatta la pulizia.

«Ci stiamo arrivando finalmente anche noi» dice soddisfatto Barchiesi, ingegnere elettronico, fondatore della società Reputation Manager, per nulla offeso delle definizione del suo lavoro: «Perché dovrei?». Quindici dipendenti con sede a Milano, staff legale, giro d’affari in vorticoso aumento, clienti vagamente paranoici su un possibile click che manderebbe in fumo carriera, famiglia, amicizie. «Non si tratta soltanto di aziende o personaggi pubblici – spiega – ormai si rivolgono a noi anche privati». La casistica è vasta. Chi vuole eliminare volgarità dette in qualche forum, chi vuole integrare notizie incomplete sul proprio conto, chi cerca banalmente di cancellare il passato (una condanna, un divorzio, un licenziamento) per rifarsi un presente.

«Dopo una prima mappatura, facciamo un lavoro, direi sartoriale, di pulizia». Una tecnica collaudata è la “reingegnerizzazione” dei motori di ricerca. In pratica, si inseriscono nel web una serie di notizie o immagini positive sul cliente che poi, attraverso complicati algoritmi e parole chiave, finiscono guarda caso nelle prime schermate di Google. «Altre volte – continua Barchiesi – dialoghiamo con chi è responsabile del contenuto per convincerlo a rimuoverlo o perlomeno ad integrarlo». Nei casi estremi, può partire la denuncia legale. «Cerchiamo sempre di evitarla, i tempi di ‘ripuliturà diventerebbero molto lunghi».

La procedura fa rabbrividire chi crede che internet debba essere uno spazio totalmente libero. Oreste Pollicino, professore di diritto della comunicazione e dell’informazione alla Bocconi, pensa invece che la tutela della “e-reputazione” sia un diritto. «Deve passare il principio – commenta – che la Rete non può essere zona franca dal punto di vista del diritto». Pollicino sta seguendo da vicino il caso dell’associazione ViviDown contro Google per il video, diffuso online nel 2006, che riprende un ragazzo down vessato dai suoi compagni di scuola. «Potrebbe essere dimostrato per la prima volta con chiarezza – spiega il professore della Bocconi – che i motori di ricerca hanno a disposizione la tecnologia necessaria per tutelare effettivamente la privacy degli utenti. Si tratta di capire se un colosso economico come Google voglia investire su questo. Non si tratta di un problema relativo alla libertà di espressione, ma al modello organizzativo di business che viene prescelto».

In Italia, la normativa di riferimento è quella del 2003, in base alla quale gli internet server providers non hanno un obbligo generale di vigilanza ma devono rimuovere il contenuto illecito, una volta ricevuta notizia dello stesso, il più presto possibile.«La legislazione è ancora carente sotto molti punti di vista» conclude Pollicino. In assenza di tutela giuridica certa prosperano loro, gli spazzini del web. I costi vanno da cento a diecimila euro. «Non accettiamo qualsiasi cliente, abbiamo una nostra deontologia» precisa il responsabile di Reputation Manager. Ognuno faccia i conti con la sua fedina digitale.

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