Crisi Italia: costi di energia, contributi e tasse, burocrazia e giustizia ci portano a fondo

Pubblicato il 17 Gennaio 2011 - 11:20 OLTRE 6 MESI FA

Costi, burocrazia, giustizia, non solo controllo della forza operaia, sono le condizioni, che, non soddisfatte, mettono in crisi l’industria italiana e la rendono sempre meno competitiva nel mondo (e alla fine, dopo la totale apertura dei mercati, anche in Italia), sostiene Luca Ricolfi: sono questi i tre macigni che mandano fuori strada, spiega in un articolo sulla Stampa e ci dà una notizia illuminante: molte imprese italiane stanno delocalizzando non in Cina, non in Serbia, non in Romania ma in Svizzera (dove i salari non sono certo più bassi che da noi), perché quel governo promette tasse leggere per 5 o 10 anni, tariffe speciali per l’affitto dei terreni ma, soprattutto, garantisce di accollarsi interamente – e rapidamente: in 3 mesi – gli oneri burocratici connessi all’insediamento di un’impresa straniera su territorio elvetico.

Luca Ricolfi, uomo di sinistra ma tanto eretico da riuscire fastidioso un po’ per tutti, prova a darci una risposta, con un articolo uscito sul quotidiano torinese La Stampa, da quasi novant’anni proprietà della Fiat, nella edizione di domenica 16 gennaio.

Così, mentre una parte d’Italia si interroga sui bunga bunga di Berlusconi e si domanda se tutto il can can che viene montato gli porti voti o ne acceleri la caduta e un’altra, minoritaria, parte d’Italia si interroga e anche si dilania sui significati del no e del si di Mirafiori, qualcuno anche si chiede se la grande partita che sembra essersi giocata alla periferia di Torino abbia davvero un senso per gli italiani o non sia solo un diversivo rispetto ai veri problemi che affliggono la Fiat e anche l’Italia.

Ricolfi liquida il teorema Mirafiori, cosa che non poteva non fare, ma poi entra nel vivo e scrive: “Ma le relazioni industriali sono solo uno degli ostacoli, che non scalfisce l’enorme potere frenante degli altri tre. Quali sono gli altri tre?”.

Risposta: costi delle imprese, burocrazia, giustizia.

Al primo posto Ricolfi mette i costi delle imprese. “Sui bilanci delle imprese italiane, e quindi sulla loro competitività, gravano troppo tre voci di costo: il prezzo dell’energia, l’aliquota societaria (Ires e Irap), le tasse sul lavoro (contributi sociali e Irpef). E tutti e tre, anche i costi dell’energia, dipendono da un’imposizione fiscale eccessiva”.

Poi vengono “gli adempimenti burocratici, ossia scadenze continue, versamenti, certificazioni, scritture. […] Dov’erano i nostri fautori di una rivoluzione liberale quando, giusto pochi mesi fa, il nostro governo varava una legge che obbliga tutte le imprese (anche piccole e piccolissime) a oneri di certificazione dello «stress lavoro-correlato», l’ennesimo adempimento che costerà tempo, denaro (e stress!), senza poter incidere né sulle situazioni in cui lo stress c’è davvero ma è ineliminabile, come alla catena di montaggio, né su quelle in cui il problema sono gli incidenti mortali, come in edilizia?”.

Terzo: la giustizia, la sua inefficienza, la sua lentezza, la sua farraginosità, la sua incertezza. Quanti anni ci vogliono per un fallimento? Quanto costa, in tempo, denaro e arrabbiature, far valere le proprie ragioni in una causa civile? Quanta incertezza, nelle cause di lavoro, è connessa al potere discrezionale dei giudici? Quanti anni sono necessari per recuperare un credito? E quanti per far rispettare un contratto? Non per nulla l’Italia è in coda in tutte le classifiche internazionali che valutano competitività, libertà economica, e più in generale le condizioni per attrarre investimenti. Non per nulla siamo agli ultimi posti negli investimenti diretti esteri (Ide), un chiaro segnale che ci vuole molto coraggio per scegliere di produrre in Italia. Non per nulla i nostri giovani che possono permetterselo, perché hanno studiato più degli altri e hanno una famiglia agiata alle spalle, stanno prendendo sempre più la via dell’estero”.

Purtroppo abbiamo poco da sperare, perché la soluzione “è che chi ha le redini del Paese si decida, finalmente, a fare le altre cose che vanno fatte. A partire da quelle che sono necessarie, assolutamente necessarie, se vogliamo aiutare chi lavora e chi produce a interrompere il declino del nostro Paese”.

Alla luce di quel che si legge e si sente sulla nostra classe politica si avvia a essere un declino inesorabile.