Marco Travaglio “saluta” Berlusconi: “Vent’anni di improntitudine”

Pubblicato il 25 Ottobre 2012 - 01:59| Aggiornato il 21 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
Silvio Berlusconi (LaPresse)

ROMA – Nel giorno in cui Silvio Berlusconi annuncia il passo indietro non poteva mancare il commento di uno dei suoi principali oppositori, Marco Travaglio. Il giornalista dedica proprio a Berlusconi il suo editoriale sul Fatto Quotidiano, editoriale che eccezionalmente supera la dimensione della colonna di prima pagina.

Travaglio parte proprio dal suo primo incontro con Berlusconi. Era il 1988, ben prima della “discesa in campo”. Travaglio lavorava con Indro Montanelli al Giornale e Berlusconi era imprenditore e editore del quotidiano. E non fu amore a prima vista.

Ricorda Travaglio: “La prima volta che ho scritto di lui era il 1988. Collaboravo già al suo Giornale, che però era per tutti “il Giornale di Montanelli”, come vicecorrispondente da Torino. Ma anche con un settimanale cattolico torinese, il Nostro Tempo: il direttore Domenico Agasso mi fece recensire un libro bianco anche nella copertina, Inchiesta sul signor tv, di Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, Editori Riuniti. Il primo libro che raccontava la storia di Vittorio Mangano, lo “stalliere” di Arcore che poi stalliere non era, e di Marcello Dell’Utri, l’uomo che sussurrava ai cavalli e soprattutto al Cavaliere”.

Segue il ricordo della discesa in campo e le dimissioni di Montanelli dal Giornale:

“Quando poi, nell’autunno ‘93, corse voce che Silvio Berlusconi volesse entrare in politica, ne parlai con Montanelli, a pranzo. Per spiegarmi che tipo fosse, mi raccontò la storia del mausoleo di Arcore, poi aggiunse: “È tutto vero, purtroppo. S’è fissato con la politica. Dice che il pool di Milano sta per arrestarlo e le sue aziende stanno fallendo per debiti. S’è fissato di fare il premier, ma se un poco lo conosco vuole diventare presidente della Repubblica. Se ci riesce, e lui è sempre riuscito dappertutto, con quali metodi preferisco non saperlo, siamo rovinati. Sia come italiani (ti dico solo questo: Confalonieri lo chiama ‘il Ceausescu buono’), sia come giornalisti del Giornale. Mi ha già detto che ci vuole tutti al servizio del suo partito e io gli ho già detto di no. Vedrai che scatenerà l’apocalisse”.

Quindi l’epilogo:

“Qualche sera dopo, partì il bombardamento a tappeto a reti Fininvest unificate per sloggiare il Vecchio dalla direzione del Giornale. Fede, Liguori, Sgarbi (che gli diede del “fascista pedofilo”). “I manganelli catodici”, li chiamava Montanelli. All’Epifania, Fede chiese al Tg4 le sue dimissioni. Il direttore rispose con un Controcorrente di tre righe: “Fede ha chiesto le nostre dimissioni. Noi, al posto suo, non potremmo mai chiedere le sue, per il semplice motivo che non l’avremmo mai assunto”. L’8 gennaio ’94 Berlusconi irruppe, insalutato ospite, nella riunione di redazione del Gior – nale, che ormai da due anni non era più suo perché la legge Mammì l’aveva costretto a venderlo, anzi a fingere di venderlo (l’aveva girato al fratello Paolo). E fece capire a noi redattori, in agitazione per i continui tagli di organico, che se volevamo le munizioni avremmo dovuto combattere la sua battaglia, non quella di Montanelli: cioè indossare il kit di Forza Italia. Altrimenti saremmo rimasti alla fame. Un minuto dopo Montanelli, assente e ignaro di tutto, rassegnava le dimissioni dal Giornale che aveva fondato vent’anni prima per creare un nuovo quotidiano, finalmente libero, “con un solo padrone: il lettore”.