Mario Calabresi e l'”auto-promozione” del suo libro

TORINO – Sfogliando oggi le pagine della ‘Stampa’ risalta il richiamo in prima della presentazione di un libro. Il titolo è ‘Cosa tiene accese le stelle’. E di chi è il libro? Di Mario Calabresi, direttore della ‘Stampa’. Ora, viene spontanea una domanda: il fatto che il direttore abbia scritto un libro giustifica che di quel libro ci sia un richiamo in prima sul suo giornale e un’intera paginata all’interno? Per parlare di sua nonna…

Nel pezzo si legge: “C’è un malessere diffuso nel nostro Paese, una sfiducia che induce gli anziani a guardare con nostalgia al passato e i giovani a rassegnarsi all’assenza di prospettive. A contrastare questo clima di ripiegamento sono rivolte le «Storie di italiani che non hanno smesso di credere nel futuro» raccolte nel nuovo libro di Mario Calabresi ‘Cosa tiene accese le stelle’ (Mondadori, pp. 130, e17), di cui pubblichiamo qui il primo capitolo. Il volume sarà presentato al Salone del libro domenica alle 17 in Sala gialla. Con l’autore, interverrà Massimo Gramellini“.

E giù un intero capitolo del libro che prende tutta la pagina 37 della ‘Stampa’ di venerdì 13. Un capitolo dove si legge, appunto, della nonna di Calabresi. “Una sera di novembre del 1955 mia nonna, che aveva quarant’anni, riconquistò la sua libertà e si sentì felice: aveva preso in mano un libro ed era riuscita a leggere qualche pagina prima di addormentarsi. Non le capitava più da quattordici anni, da quando, in mezzo alla guerra, era nato il suo primo figlio: Carlo. Da allora, di bambini ne erano arrivati altri cinque; la più piccola, Graziella, non aveva ancora nove mesi. Ogni sera, da quattordici anni, mia nonna andava a dormire esausta solo quando aveva finito di lavare a mano montagne di lenzuola e pannolini. Lo aveva fatto migliaia di volte: prima a Torino, interrompendosi solo quando le sirene avvisavano che stavano per piovere le bombe“.

Nell’era di Berlusconi tutto è permesso, anche parlare di montagne di lenzuola lavate tra un bombardamento e l’altro. Ma per un giornale come la Stasmpa non è un po’ troppo?

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