New York Times cambia editore, ma sarà sempre un Sulzberger

New York Times cambia editore, ma sarà sempre un Sulzberger
Una prima pagina del New York Times

NEW YORK – Sarà ancora un Sulzberger ad avere il comando del New York Times: lo ha annunciato Arthur Ochs Sulzberger junior, editore vicino alla soglia dei 65 anni. Un Sulzberger alla guida della “Signora in grigio” (così viene chiamato il Nyt) come succede da 119 anni. Anche se in realtà l’azionista di maggioranza è un messicano, il tycoon Carlos Slim. Ma negli Stati Uniti c’è un doppio livello di azioni, A e B, con differenti diritti di voto, come da noi succedeva con le azioni ordinarie e privilegiate.

Ma intanto la corsa alla successione è iniziata e ci vorranno almeno due anni prima di capire quale dei Sulzberger prenderà il posto dell’attuale. I favoriti alla successione sono tre: Arthur Gregg “A. G.” Sulzberger III, 34 anni, figlio dell’editore e attualmente direttore associato della testata; David Perpich, 38 anni, nipote dell’editore e vice presidente esecutivo del giornale con la delega per il prodotto e la tecnologia; e Sam Dolnick, 34 anni, figlio della cugina di Sulzberger e anche lui direttore associato. Scrive Paolo Mastrolilli su La Stampa:

Durante l’abituale discorso annuale sullo “State of the Times”, un po’ come fa il presidente americano col rito dello “Stato dell’Unione”, Sulzberger ha parlato così ai dipendenti: “Sono rimasto nel mio ruolo di editore per oltre vent’anni, e ormai sto toccando la soglia dei sessantacinque anni. Quindi non deve sorprendervi che il compito di scegliere il mio successore è cominciato”. Quindi ha illustrato il percorso, spiegando che nell’arco dei prossimi due anni selezionerà un vice operativo, che poi prenderà il suo posto.

Colpisce sentire che Sulzberger junior si ritiri, perché nella percezione generale era sempre rimasto un ragazzo. Il padre, Arthur senior, era stato un editore mitico e duro, al punto di meritarsi il soprannome di “Punch”, cazzotto. Il figlio non avrebbe mai potuto raggiungere la sua statura, e infatti per marcare il contrasto col genitore lo avevano soprannominato “Pinch”, pizzicotto. In sostanza se il padre tirava pugni, tipo la storica pubblicazione dei “Pentagon Papers”, lui faceva il solletico.

Il paragone in realtà non è onesto, perché il padre aveva avuto la fortuna di guidare il Times durante un’altra epoca, prima di internet, quando la carta stampata conservava un peso diverso e un ruolo quasi eroico. Arthur junior invece si è trovato a governare la difficile transizione verso il digitale, che in America è costata la vita a diverse testate autorevoli, e continua a complicare la vita di concorrenti come il Washington Post di Jeff Bezos, o il Daily News di New York, che secondo i maligni rischia la chiusura.

In questo caos, passando attraverso guai epocali come la caduta del direttore Howell Raines a causa delle frottole scritte da Jayson Blair, il discredito di Judith Miller per gli articoli sulle armi di distruzione di massa in Iraq, o il fallimento della prima direttrice Jill Abramson, “Pinch” è riuscito comunque a far sopravvivere il Times. Ora, esausto e probabilmente sollevato, lo consegna alla generazione che forse inventerà il nuovo modello di business dell’era digitale. Per evitare che, come dicono alla scuola dei Pulitzer della Columbia University, “il giornalismo sopravviva alla morte delle sue istituzioni”.

 

Gestione cookie