Sallusti: o l’amnistia o il carcere. Legge sulla diffamazione? Alla prossima legislatura

Alessandro Sallusti (LaPresse)

ROMA – Perché Alessandro Sallusti non finisca in carcere ci vorrà l’amnistia: i tempi per l’esecuzione della sentenza della Cassazione incalzano e non sarà il Parlamento a dare una mano al direttore del Giornale. Il salvagente per Sallusti sarebbe stata la proposta di legge sulla diffamazione firmata da Vannino Chiti e Maurizio Gasparri (qui il pdf integrale). Ma, notizia dell’ultim’ora: al Senato la legge non beneficerà dell’iter abbreviato.  

Oltre a non beneficiare dell’iter abbreviato, è stato rinviato alla mattina di giovedì 11 ottobre l’esame degli emendamenti al disegno di legge. Sarà difficile che il provvedimento riuscirà ad essere approvato entro il 26 ottobre, data in cui scade la sospensione della pena, per evitare che il giornalista vada in galera. Dopo il passaggio in Senato, il ddl dovrà passare all’esame della Camera.

Che significa? Che molto probabilmente una nuova legge sulla diffamazione potrà vedere la luce solo nella prossima legislatura. Che significa? Che se non interviene un provvedimento eccezionale, una grazia o un’amnistia, Sallusti il 26 ottobre finirà in carcere. Ma una cosa un po’ più importante della vicenda processuale di Sallusti per il momento è salva: la libertà di stampa.

La proposta di legge Chiti-Gasparri infatti eliminava il carcere per diffamazione a mezzo stampa, ma lo sostituiva con multe (da 5 mila a 50 mila euro) e risarcimenti (minimo 30 mila euro) che avrebbero messo in ginocchio i grandi gruppi editoriali e avrebbe portato alla chiusura i piccoli giornali. Coinvolgendo anche il mondo del giornalismo su internet, i siti e i blog, che finora erano stati tenuti al riparo da ogni tentativo di bavaglio.

Giornali, siti e televisioni sono bersagliati ogni anno da un numero di querele per diffamazione (per vicende nel 90% dei casi molto più sfumate del diffamante articolo firmato da Dreyfus-Farina) che è sufficiente a imbavagliare o chiudere le testate. Basta moltiplicare una media di 50 mila euro di spesa per ogni querela per diffamazione subita: ne bastano 5 a far fallire un piccolo sito, ne bastano 100 a tappare la bocca a un grande giornale.

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