Sandro Viola è morto. Fu una grande firma di Repubblica: ecco un suo ritratto di Gorbaciov

Sandro Viola

ROMA – È morto a Roma il giornalista Sandro Viola. Aveva 81 anni ed era malato da tempo. È stato un grande inviato ed editorialista di Repubblica, quotidiano in cui era presente dalla sua fondazione nel 1976.

Nato a Taranto il 2 giugno del 1931, Viola prima di entrare nel giornale di Eugenio Scalfari aveva lavorato a La Stampa.

Per i due quotidiani ha seguito la Guerra dei sei giorni, il sequestro Moro, le vicende russe e dei paesi del blocco sovietico, il Medio Oriente, la politica internazionale in genere.

Negli archivi de La Stampa e di Repubblica, entrambi consultabili online, si trovano molti esempi della bravura di Viola. Fra gli altri, c’è un ritratto di Michail Gorbaciov datato 16 dicembre 1984, nei giorni in cui si insediava l’ultimo segretario del Partito Comunista sovietico, il Pcus.

DEBUTTA MIKHAIL IL GIOVANE

dal nostro inviato SANDRO VIOLA  

LONDRA – Con un seguito di proporzioni inusitate, trenta persone che servono a testimoniare l’altezza del suo rango, il numero due del Cremlino è giunto ieri pomeriggio a Londra. Mikhail Serghevic Gorbaciov detto “il giovane” s’aggirerà per una settimana in alcuni dei luoghi deputati della politica inglese: i Chequers (la residenza di campagna del primo ministro), Hampton Court (dove domani vedrà il ministro degli Esteri, sir Geoffrey Howe), Westminster. E l’occasione sembra davvero unica: ecco infatti, per vari giorni in mostra su una luccicante passerella europea, l’esponente più noto della nuova leva di leaders sovietici; ecco l’uomo che incarna gli umori e gli orientamenti della cosiddetta “generazione post-staliniana”, quei settori del Pcus cui guardiamo da tempo nel tentativo d’intravedere come sarà la Russia del 1994. Così, volendo azzardare l’ espressione, si può dire che l’interesse di questa “tournèe” russa a Londra ha più a che fare con l’antropologia che con la cremlinologia. 

Poco importa, in un certo senso, se Mikhail Serghevic succederà o no a Konstantin Cernienko, se egli è davvero destinato a diventare il prossimo Segretario generale. I binocoli, adesso, sono puntati sulle rive del Tamigi con altri intenti e curiosità. Vale a dire: esiste veramente un’ “altra razza” di dirigenti sovietici, sino a che punto è realistico parlare d’ una mentalità e cultura “diverse” della “post-Stalin generation”? La leggenda che circonda Mikhail “il giovane” sembrerebbe avvalorare quest’idea d’una “diversità”. 

Intanto, c’è la sua formazione culturale e professionale: sullo sfondo d’una classe politica che nella maggior parte dei casi deve la sua istruzione – come risulta dalle biografie ufficiali – alle scuole serali o ai corsi per corrispondenza, Mikhail Serghevic può infatti vantare due lauree, la prima in legge e la seconda in agronomia. Fatti i calcoli, sostiene il cremlinologo americano Stephen F. Cohen, siamo dinanzi al dirigente sovietico più colto salito sul proscenio dopo la metà degli anni Trenta. 

Poi ci sono i dati anagrafici, coi loro risvolti psicologico-politici. Gorbaciov ha appena 53 anni (anche se portati “alla russa”, con un fisico che è insieme robusto e cascante), ed è membro del Politburo sin dal 1980; due anni prima, col suo ingresso nella Segreteria del Comitato centrale, era già a 47 anni uno dei trenta o quaranta uomini più potenti dell’ Urss. 

Dunque una carriera folgorante, se si pensa che Cernienko è entrato nel Politburo a 68 anni, il primo ministro Tikhonov a 69, Gromyko a 66 e Ustinov a 65 (solo Grigorij Romanov, il più probabile antagonista di Gorbaciov nella contesa per la successione, c’ è entrato a 54). Ora, a sentire i sovietologi, la rapidità di tale ascesa comporta un’ulteriore diversità rispetto alla media dei leaders moscoviti. 

Essa significa infatti che Mikhail Serghevic non ha vegetato per trenta o quarant’anni nelle acque stagnanti dell’apparato del partito; non ha dovuto farsi strada lentamente, faticosamente, tra le melme del conformismo e delle obbedienze burocratiche. E’ giunto al massimo potere in fretta, ancora quasi indenne da quella sclerosi dei comportamenti e del linguaggio che rende i dirigenti sovietici, in generale, così simili l’uno all’altro. 

E infatti sono un paio d’anni che tutti parlano dei suoi “modi diversi”. Una maniera di fare più disinvolta e diretta, la capacità d’ascoltare, la scelta precisa d’evitare i sermoni ideologici. Le caratteristiche che hanno impressionato i suoi interlocutori nei due viaggi in Occidente che Gorbaciov ha fatto prima di questa visita a Londra: in Canada l’anno scorso (quando Pierre Trudeau e i suoi collaboratori parlarono d’una personalità “senza paragoni nella leadership sovietica”), e nel giugno di quest’anno ai funerali di Berlinguer (con i “vecchi” delle Botteghe Oscure che sentenziavano: “Questo è veramente uno diverso…”). 

La leggenda, intanto, s’arricchisce di sempre nuovi dettagli. Un ambasciatore occidentale racconta d’avere avuto con Mikhail Serghevic, ad un ricevimento al Cremlino, uno scambio di battute scherzose, “proprio come quando parliamo tra noi europei”. A marzo compare in pubblico sua moglie Raissa, abbastanza giovane e piuttosto elegante, e si scopre che è la sola lady del potere sovietico molto al di sotto degli ottanta chili. 

Un gruppo d’uomini d’affari americani, che lo hanno incontrato dieci giorni fa, parlano di “maniere da gentleman” e di grande “sense of humour”. Ma una leggenda è appunto una leggenda, e l’interesse di queste giornate londinesi sta proprio nella possibilità di verificare quanto e come il ritratto corrente di Gorbaciov corrisponda alla realtà. 

E’ questo il punto che i governanti inglesi si preparano a cogliere, ad approfondire, per poi trasmettere le loro impressioni alla “banca dei dati” della diplomazia occidentale. Mikhail “il giovane” è anche, e davvero, Mikhail “il moderato”, “il riformista” e magari “il liberale”? Del resto, il terreno d’ indagine si presenta molto vasto. Mentre mancano venti giorni ai colloqui russo-americani di Ginevra, il numero due del Cremlino (“Il nostro secondo Segretario generale”, come lo chiama il direttore della “Pravda”, Afanasiev) non è certo venuto a Londra per fare il turista, a visitare qualche fabbrica o ad assistere ad uno spettacolo della Royal Opera. 

Il motivo formale della visita (un convegno dell’Unione interparlamentare, cui Gorbaciov partecipa nella sua veste di presidente della Commissione Esteri d’una delle due Camere del Soviet) è in effetti un pretesto. Chi può credere che il “secondo Segretario generale” sia partito da Mosca, portandosi decine di persone al seguito (tra cui uno specialista di missili – il generale Cervov -, e il massimo esperto sovietico di armi spaziali, Evghenij Velikhov), soltanto per incontrare qualche parlamentare? 

Gorbaciov è dunque venuto a parlare di politica, dei temi più urgenti della politica mondiale: e non a caso è venuto a parlarne in Inghilterra, con Margaret Thatcher. Londra ha infatti dato l’avvio, un anno fa, ad una Ostpolitik di notevole interesse generale. Uscita dai binari d’una gelida durezza nei confronti del mondo comunista (un gelo che risale a quindici anni fa: l’Inghilterra era nel ’68 il quarto partner commerciale dell’Urss, oggi è il nono), la signora Thatcher si propone adesso come un interlocutore pacato, comprensivo, della leadership moscovita. 

In pochi mesi, i contatti tra Londra e l’Est sono stati più intensi che negli ultimi cinque o sei anni presi insieme. E soprattutto: non è stata la Thatcher a criticare qualche tempo fa, con più forza di qualsiasi altro governante europeo, i programmi d’armamento spaziale di Ronald Reagan? Il Cremlino mostra di prendere molto sul serio le “avances” britanniche. 

Con i due paesi che erano stati a lungo gli interlocutori privilegiati di Mosca, la Francia e la Germania federale, i rapporti si sono fatti difficili. Spariti dalla scena Giscard d’Estaing e Schmidt (e mentre la Nato installava i Pershing in Germania), nulla è stato più uguale a prima. Spesso, parlando con i sovietici, si ha l’impressione che essi ritengano l’Ostpolitik di Bonn – che pure fu uno dei pilastri della distensione, il massimo canale di cooperazione economica tra Est e Ovest – ormai morta e sepolta. 

Da qui l’interesse per altri interlocutori europei: l’Italia (dove Gromyko farà tra qualche settimana la prima visita in Europa occidentale dopo anni di forte tensione), e più dell’Italia l’Inghilterra del governo Thatcher. Ancora una volta, la tattica del Cremlino consiste nello stimolare le differenze, se non le divergenze, tra l’America e i suoi alleati europei. Mikhail Serghevic è venuto con questo compito. 

Dimostrare che Mosca è disponibile alla trattativa più ampia, che sono stati i sovietici – e non gli americani – a premere per l’incontro di Ginevra, che il Cremlino è compatto nella ricerca d’una “nuova distensione” mentre a Washington, si sa, infuria la diatriba tra “falchi” e “colombe”. Vedremo come se la caverà Gorbaciov nei colloqui con i governanti inglesi. 

Per ora l’impressione è buona. Le due dimostrazioni antisovietiche che lo hanno accolto a Londra non sono riuscite a scomporlo. Il “secondo Segretario generale” ha sorriso con indulgenza verso il paio di centinaia di ucraini che al momento del suo arrivo manifestavano dinanzi all’ambasciata dell’Urss. Più tardi, davanti al British Museum dove Gorbaciov era andato a visitare la sala di lettura ai cui tavoli Marx preparò la stesura del “Capitale” c’erano una cinquantina di polacchi con gli striscioni di “Solidarnosc”: altra occhiata distratta di Mikhail Serghevic. 

Oggi, ai Chequers, l’incontro con Margaret Thatcher. L’ambasceria del Cremlino l importante, forse il canale di informazioni più ricco per capire con quali intenti e stati d’animo la Russia sta per riprendere il dialogo con l’Occidente.

Gestione cookie