ROMA – Nel presentare sul suo blog una prima parte delle classifiche dei giornalisti italiani stilate da Vittorio Feltri nel suo libro “Buoni e cattivi”, Cesare Lanza offre uno squarcio di storia del giornalismo, riferendo un passaggio inedito, quello che portò l’allora poco più che trentenne Cesare Lanza a dirigere uno dei più importanti quotidiani in Italia, il Corriere di Informazione di Milano, edizione pomeridiana del Corriere della Sera.
All’inizio del post, Lanza indulge a un po’ di auto compiacimento anche se lamentoso, riportando il passo che Vittorio Feltri gli dedica:
“A gennaio del 1975 l’editore decise di affiancare a Gino Palumbo un giornalista assai talentuoso, Cesare Lanza. Il direttore non accettò la nomina che gli volevano imporre e se ne andò sbattendo la porta. Lanza prese il suo posto. Oggi di Cesare sono amico. Ma allora non ci andavo per niente d’accordo.
Siccome passavo per non essere di sinistra, mi teneva sotto tiro. Tutto il contrario di Ferruccio De Bortoli che riuscì, e non ho ancora capito come, a farsi eleggere nel comitato di redazione, saldamente presidiato da Piero Morganti, il quale al Corinf rappresentava il corrispettivo di Raffaele Fengo al Corriere della Sera: il capo del soviet.”
Segue il giudizio di Cesare Lanza sul libro, “buoni e cattivi, che Vittorio Feltri ha scritto con Stefano Lorenzetto.
“Feltri con Lorenzetto ha pubblicato un libro assolutamente stuzzicante: le pagelle con il voto ai personaggi conosciuti in 50 anni di giornalismo. Ebbene, devo dire con amarezza che questi due miei cari amici mi hanno cagato appena di striscio, con la citazione che ho pubblicato qui sopra. Cosa che ha amareggiato la mia vanità, ma è stata anche una fortuna: non mi sono visto infliggere un voto in pagella”.
Poi la pagina o paginetta di storia del nostro piccolo mondo:
“Vorrei fare prima una puntualizzazione, poi dar sfogo alla mia fraterna lagnanza. Ciò che ricorda Feltri, con la trascrizione di Lorenzetto non è proprio esatto. Dagli editori Rizzoli, ed era presente anche Nicola Carraro con Alberto Rizzoli (gli unici rimasti in vita), fui invitato a colazione: mi offrirono l’incarico di condirezione, a fianco di Gino Palumbo.
Mi riservai di decidere, dicendo che ne avrei parlato con Palumbo: feci notare che – almeno all’epoca – i condirettori erano scelti dal direttore, non a sua insaputa. Uscii da casa Rizzoli ed andai a parlare con Gino, con cui avevo da tempo un rapporto di amicizia. Palumbo restò malissimo, nei giorni successivi scatenò – com’era suo diritto, professionalmente – un inferno con riferimento all’imposizione che gli editori volevano fargli subire.
Approfittai dell’occasione per dire a lui e ai Rizzoli che non mi consideravo disponibile. Dopo un paio di mesi i Rizzoli tornarono ad invitarmi per offrirmi, questa volta, la direzione. Accettai. E, questa seconda volta, alla luce di quanto era successo in precedenza, non parlai con Palumbo.
Gino fu “sollevato dall’incarico”, per telefono, da Angelo Rizzoli. Un’esecuzione brutale, non discuto. Non è vero che Palumbo se ne andò sbattendo la porta. E da parte mia non avevo più obblighi, né di confidenza né di riconoscenza, nei riguardi di Gino Palumbo (con il quale tornammo amici, dopo qualche mese).
Vero è che Vittorio durante la mia direzione al Corriere di Informazione non mi sopportava. Devo dire che non ne ero consapevole, ma riconosco che non valorizzai le grandi qualità di Feltri e che i nostri rapporti erano rari e freddi. Feltri, che ha un carattere peggiore del mio, non mi rivelò per venti anni il suo stato d’animo di allora. Poi, venti anni dopo come nei romanzi di Dumas, questo grande moschettiere mi raccontò lil suo malessere, confidandomi alcuni episodi.
Come succede, diventammo amici, per parte mia direi grandi amici. Lui non mi deve nulla, io gli sono riconoscente perché più di una volta, di fronte ad alcuni torti che ho subito (memorabile per me, un mio scontro con un ex presidente della Rai) Vittorio Feltri è sceso in campo a spada tratta, per sostenermi e difendermi lealmente e generosamente.
Quanto a Stefano Lorenzetto, lo conobbi quando era un ragazzo, intuii il suo talento e volevo assumerlo a “Il Lavoro” di Genova, di cui nel frattempo ero diventato editore e direttore.
Lorenzetto rifiutò: non ho capito bene se fosse per la passione per il suo Veneto o perché, con intelligenza, aveva previsto la precarietà editoriale del mio storico giornale, che cercavo disperatamente di tenere in vita, nel ricordo dei ventidue anni di direzione di Sandro Pertini. Tante volte, da allora, Lorenzetto mi ha esternato simpatia e stima, che ricambio specularmente, e di più.
Forse, chi mi conosce e mi vuol bene a questo punto avrà capito perché sono dispiaciuto di non essere stato preso in considerazione dai miei due illustri colleghi, per le loro pagelle. Vittorio e Stefano promettono o forse minacciano un secondo volume, “con i molti (troppi) nomi che qui sono stati omessi unitamente per ragioni di spazio”… quindi prego Feltri e Lorenzetto di risparmiarmi una seconda mortificazione, dopo la prima: quella di inserirmi nel prossimo dizionario.
Scherzo ma non troppo: l’amicizia resiste di fronte a queste bagattelle. Comprate e leggete il libro: con il carattere di Vittorio, la sua bravura, la capacità di Stefano, i personaggi e gli argomenti sono molto interessanti”.
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