Non con lo stesso entusiasmo di Quentin Tarantino, per il quale era più importante di Mozart e Beethoven, ma anche il New York Times rende omaggio con grande enfasi a Ennio Morricone.
Un “creatore influente” del “cinema moderno”, Ennio Morricone è l’autore cui più di tutti deve il genere del western.
Un compositore prolifico, più di 400 lavori tra colonne sonore tra cinema e tv.
E versatile, avendo attraversato tutti gli stili e i generi.
Dall’Accademia alla canzone, dalla musica colta al carosello.
Ci tiene Philip Pullella del NYT a sottolineare il legame inscindibile del Mestro con la sua città, Roma.
Non parlava inglese, negli Usa solo a 78 anni
Dove componeva e che lasciava solo per le numerose direzioni d’orchestra della sua musica in giro del mondo.
Non parlava inglese sebbene Hollywood lo considerasse di casa: ma a distanza, solo a 78 anni Morricone si decise a visitare gli Stati Uniti.
Rimpianti: spaghetti western una “camicia di forza”
Ma fa bene Pullella a segnalare come la fama legata agli spaghetti western di Sergio Leone fosse vissuta dal musicista come una “camicia di forza” interpretativa.
Che sembrava relegarlo a un cliché.
Doveva ricordare il maestro come quella western fosse al massimo il 7 o l’8% della sua intera produzione, di cui andava evidentemente fiero soffrendo di non vederla riconosciuta come meritava.
Il tocco di Ennio Morricone
Esordi, successi e vita da film (seppur appartata) sono raccontati con dovizia e precisione. Fa piacere venga ricordato quel tratto morriconiano ormai tipico, l’uso di strani strumenti e rumori di frequentazione quotidiana.
Ocarine cinesi e arpe giudaiche, fischi virtuosi e voci senza parola, scudisciare di fruste e rombi di cannone, pallottole vaganti e coyotes ululanti…
Era di più, e forse di meglio, ma quel Morricone resta e resterà una traccia indelebile, l’impronta definitiva sull’immaginario musicale di ognuno di noi. (fonte New York Times)