ROMA – Su Papa Francesco, lui, che a Joseph Ratzinger ha sempre detto di ispirarsi, neppure una parola. Ma Giovanni Lindo Ferretti, per il resto, parla di tutto. Lo fa con il distacco di chi sembra ricordare non la sua gioventù ma quasi una vita precedente. Non a caso, del cantante Giovanni Lindo Ferretti, quello che ha guidato i Cccp prima, i Csi poi e i Pgr alla fine, parla in terza persona.
Ora l’uomo di “Emilia Paranoica”, quello che voleva “rifugiarsi sotto il patto di Varsavia con un piano quinquennale e la stabilità” fa solo qualche serata ogni tanto, lo stretto indispensabile per mantenersi. Il resto è lavorare la terra e raccogliersi in preghiera.
L’intervista sul Fatto Quotidiano
Eppure fa ancora dei concerti.
Sempre meno, ed è solo per sopravvivere. Ogni anno mi metto a un tavolo, tiro giù cifre per prevedere di quanti soldi avrò bisogno. Quindi decido il numero delle date per Giovanni Lindo il cantante (a breve tre serate in altrettanti club).Lo dice in terza persona.
Sì, non mi appartiene.Rifiuta il suo nome?
Non potrei. Mio padre è morto quando sono nato. Mi chiamo come lui. Ogni volta che mia madre mi guardava e diceva ‘Giovanni’ aveva un velo di sofferenza negli occhi.Si è mai sentito in colpa per questo?
Mai. Sono stato molto amato dai miei nonni, dai miei zii e dai miei vicini di casa. Non ho mai avuto dubbi sulla mia legittimità. Però mia madre era una giovane vedova dei primi anni Cinquanta. Era nella merda. Lavorava sempre, doveva mantenere me e mio fratello. (Ha preparato il caffè, si toglie il giaccone. È meno magro, meno efebico di quando saliva sul palco. Nel 2002 è guarito da un tumore alla pleura. Ora ha mani callose di chi lavora la terra e i capelli bianchi sparati in aria. Si siede su uno sgabello. E racconta)
Cosa faceva sua madre?
Prima la lavapiatti in un albergo, poi aiuto cuoca e cuoca.Canticchia mai?
(sorride) Sì, ma non vecchie canzoni. Solo litanie.In un pezzo dei Csi diceva: “Non fare di me un idolo mi brucerò, se divento un megafono mi incepperò”.
Le canzoni sono come i figli: una volta che sono nate uno se le aggiusta a sé.Però lei manifestava una sofferenza. Nessuno capiva.
Probabilmente non gli interessava farlo. Vede, il rapporto con la musica nell’età moderna è complicato. Ha assorbito tutta una serie di valenze fideistiche. Io già allora stavo malissimo.Tanto da isolarsi nel paese d’origine.
Sì e ho lasciato solo due o tre fili che mi legano alla contemporaneità.C’è stato un punto, un momento chiave dove ha detto basta?
Non uno. Tanti. Lunghi e sofferti. In realtà avrei dovuto smettere quando si sono sciolti i Cccp, sarebbe stato ovvio. Dopo una storia figosissima, inimmaginabile a priori.Perché?
Non avevo mai pensato di fare il cantante.Come ha iniziato?
Per caso a Berlino. Ai tempi ero operatore psichiatrico per una Usl, poi un giorno mi resi conto che dovevo smettere altrimenti sarei morto. Così mi presi una vacanza e andai in Germania. Era il 1980. E lì ho scoperto un mondo che non immaginavo, con musica punk e reggae ovunque. Una meraviglia. Stavo benissimo.Era già consapevole della sua voce?
È un aspetto con il quale ho fatto i conti da bimbo. E che avevo accantonato.Da bambino, grazie a chi?
Dovevo iniziare le elementari e ci fu una riunione tra mia madre e mia nonna durante la quale fecero il punto: dopo la morte di mio padre avevano venduto tutte le bestie, eravamo in miseria. Ma io e mio fratello dovevamo comunque studiare, e non qui a Cerreto Alpi, quindi mi spedirono in collegio. E lì, dopo solo un anno, la suora decise che avevo una gran bella voce e diventai il solista del coro. Mi portarono anche allo Zecchino d’oro.Lo Zecchino d’oro?
Sì, lo so. È un aspetto ridicolo della mia vita.
arsi sotto il patto di Varsavia con un piano quinquennale e la stabilità” fa solo qualche serata ogni tanto, lo stretto indispensabile per mantenersi. Il resto è lavorare la terra e raccogliersi in preghiera.
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