Il televoto a Sanremo: è davvero la voce del popolo?

Il vero vincitore del Festival di Sanremo è stato il televoto. Valerio Scanu avrà pure alzato la statuetta, ma a guadagnare la vera popolarità, dopo le cinque serate del 60° Festival della canzone italiana, è stato lo strumento delle telefonate a pagamento.

Uno strumento, questo è certo, ma quanto democratico? Usare il televoto significa spendere dei soldi (0.75 euro al minuto) per segnalare il proprio gradimento, in questo caso musicale. Inoltre ogni utente poteva votare, durante il Festival, non più di 10 volte. Per voto democratico, invece, si intende dare la possibilità a tutti coloro che vogliono e possono di poter esprimere la propria idea, musicale o politica che sia. Per questo quella del Festival di Sanremo non è stata l’esatta espressione di democrazia e, soprattutto, non si può dire che il televoto sia stato la “vox populi” della manifestazione, perché il popolo italiano non era stato chiamato a votare e non aveva le condizioni per farlo (la telefonata a pagamento è comunque un limite alla libertà di voto).

Altro tasto dolente. Il televoto deve avere la garanzia di non essere “manipolabile”. Inutile sottolineare che il voto telefonico non è controllabile, una sola persona può votare più volte, si possono  “comprare” le persone che lo danno e via dicendo.  E proprio il sospetto che tutto non si sia svolto all’insegna dell’assoluta trasparenza ha spinto il Codacons a chiedere la sospensione dei risultati finali e, assieme all’Associazione utenti radiotelevisivi, il sequestro dei televoti da parte della Guardia di Finanza di Sanremo e dell’autorità delle Tlc. Un intervento che si renderebbe necessario per «escludere che si tratti di utenze collegate ad agenzie specializzate» e per verificare se «le società private che gestiscono il televoto abbiano interessi o rapporti economici con alcuni dei partecipanti alla gara».

D’altronde, il Codacons ricorda che «in passato alcuni soggetti hanno confessato apertamente di avere acquistato pacchi di televoti da agenzie specializzate che usano una quantità di utenze telefoniche a loro collegate per far convergere migliaia di televoti “popolari” su questo o quello» quindi indirizzare il voto.

La questione televoto non si esaurisce qui. Un voto giusto deve essere “consapevole” e non, come si dice, “di pancia” o a caldo, quello che invece avviene per il Festival. Per questo nei Paesi democratici c’è una campagna elettorale, dove i candidati esprimono le proprie idee e programmi, e leggi sulla par condicio che difendono la possibilità che ogni candidato abbia la stessa visibilità televisiva e pubblica. Per il Festival invece non è stato così. I voti si danno a caldo senza la possibilità di riflettere e farlo in modo responsabile.

Da qui si arriva al vero problema dell’ultima serata. Il televoto è stato capace di ribaltare il verdetto dell’orchestra, che di musica sicuramente ne capisce.  L’orchestra della Rai di Sanremo, infatti, all’esclusione di Simone Cristicchi e Malika Ayane ha inscenato una clamorosa protesta, con fischi e lanci di  spartiti accartocciati. Questo apre la questione più importante soprattutto quando si sta per decidere sul valore musicale di un brano. Il televoto è “incompetente” non possedendo il valore di giudizio appropriato per fare una scelta responsabile.

Ovviamente non si può di certo dire che deve votare solo chi ha conoscenze musicali più o meno rilevanti, si rischierebbe in questo caso di annullare il valore “popolare” della manifestazione e farne uno show di nicchia. Ma come abbia fatto  il televoto a ribaltare il giudizio dell’orchestra è un mistero, visto che, ufficialmente influisce per il 50 %.

L’attribuzione di premi e la stesura di classifiche a partire da criteri che non tengono in alcun conto la competenza è altamente diseducativo.

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