ROMA – Quando si parla dei “Mokadelic” la prima cosa che viene in mente a tutti, di solito, è solo e soltanto una: “Gomorra”. Ma “Gomorra” è soltanto una parte, anche se importante, della loro storia. Una storia iniziata a Roma nei primi anni del duemila. “Io e Alessio – mi racconta Cristian Marras, il bassista dei “Mokadelic” – ci siamo conosciuti a Roma all’Università. Tutti e due frequentavamo la facoltà di Psicologia”. “Io sono originario della Sardegna, gli altri del gruppo invece provengono tutti dai Castelli romani: da Frascati, Grottaferrata e Marino”.
“Quando abbiamo iniziato a suonare insieme – continua – siamo andati a vedere tantissimi concerti per Roma. Al ‘Brancaleone’, al ‘Circolo degli Artisti’, al ‘Frontiera’, suonavano quasi ogni sera gruppi di alta qualità. In questi concerti rimanemmo molto affascinati dal ‘post-rock’ e lo trovammo come il modo più diretto per esprimerci”.
“Il ‘post-rock’ – spiega – ci ha subito affascinato per la sua capacità di rendere espressivi i suoni e per la libertà con cui si potevano comporre pezzi senza seguire troppo le classiche strutture della forma canzone. Abbiamo trovato che il ‘post rock’, non tanto quello di natura elettronica ma proprio quello suonato con gli strumenti classici del rock, fosse il modo per noi più diretto per esprimerci”.
Nel 2003 esce il primo cd autoprodotto “I Plan on Leaving Tomorrow”. All’inizio vi chiamate “Moka”. Come mai? Qui Cristian si prende una pausa e poi mi risponde: “La ragione è molto semplice: nessun di noi… beveva caffè!”. E scoppia a ridere. “Era una caratteristica al negativo che ci accomunava un po’ tutti. Poi ci siamo affezionati al nome che era breve e che ci rappresentava in quanto italiani”. “Anche se non ci rappresentava… in quanto fruitori”.
“Negli anni però – continua – ‘Moka’ non deve aver affascinato solo noi visto che molte altre band lo hanno scelto come nome. E così, visto che comunque non volevamo abbandonare la radice ‘Moka’, abbiamo deciso di caratterizzare ancora di più il nostro nome attraverso il filone musicale a cui ci eravamo avvicinati: la psichedelia. E quindi alla radice “Moka” abbiamo unito “delic” da “psychedelic”.
Nel 2004 componete la prima colonna sonora. Come vi siete avvicinati a questo mondo? “La prima colonna sonora l’abbiamo composta per un corto (‘Dove dormono gli aerei’) all’interno del film ‘Bambini’ di Alessio Maria Federici. Fu il regista a cercarci e contattarci. Un giorno venne a un nostro concerto e rimase affascinato dalla nostra musica e dal nostro aspetto live. Allora gli lasciammo il nostro cd: ‘I Plan in Leaving Tomorrow'”.
“E ci confessò – mi spiega – che rimase colpito da tutti i nostri pezzi”. “Così – – racconta ancora – Federico ci invitò alla ‘moviola’ per vedere il corto mentre veniva montato e rimanemmo veramente affascinati da come la nostra musica si incastrasse con le immagini. Spesso nei concerti avevamo proiettato dei film ma vedere la nostra musica su una pellicola originale ci aveva restituito un’emozione fortissima. Certo, non avevamo in mente tutto quello che sarebbe poi successo, ma rimanemmo folgorati”.
Le colonne sonore sono un’evoluzione naturale per chi fa questo genere? “Trovo che il ‘post-rock’ sia un genere che fa parlare molto le emozioni. E questa, secondo me, è la chiave gli consente di avvicinarsi al mondo del cinema o della televisione. Entrambi, la musica e il cinema, parlano di emozioni però quasi magicamente nessuno dei due pesta i piedi all’altro. Un brano cantato, per esempio, funziona benissimo nella sua dimensione. Una bella canzone con un bel testo permette all’ascoltatore di crearsi già un’immagine. Invece il ‘post-rock’ ti aiuta a evocare delle emozioni e delle immagini. E se affiancato a una scena con un bel dialogo o con delle immagini potenti diventa, magicamente, complementare”.
Quali sono le vostre colonne preferite? “Tra di noi ce lo chiediamo spesso – mi confessa – Ormai molto spesso arriviamo prima alla colonna sonora e poi al film o alla serie. Ti posso citare una colonna sonora che in questo periodo proprio non riusciamo a levarci dalla testa ed è quella di ‘Dark’ su ‘Netflix’. La colonna sonora è di Ben Frost. Il pezzo iniziale è di ‘Apparat’ con ‘Soap&skin’. Devo ammettere che per noi questa colonna sonora rappresenta proprio la perfezione. Una colonna sonora che riesce ad essere innovativa senza essere invasiva. La musica riesce a portarti dentro gli scenari della serie. E noi a questo siamo molto sensibili. Quindi… onore a Ben Frost”.
Sono andato a rivedere il vostro vecchio sito su “blogspot”. Sul sito c’è una foto di una sala prove a Campagnano. Che ricordi hai di quel periodo? “Quella foto è stata fatta nella fase di pre produzione di ‘Come Dio comanda’ ed eravamo in una casa di campagna di Niccolò Fabi. Un posto bellissimo, un piccolo casolare di campagna. Noi portammo la nostra strumentazione e passammo quattro giorni a suonare tutto il giorno e quasi tutta la notte. E’ un ricordo stupendo di quel periodo anche perché fummo investiti da un compito importante da Gabriele Salvatores: fare una colonna sonora per un suo film. Film che si ispirava ad un libro di Niccolò Ammaniti. Una cosa che consideravamo veramente al di là della nostra portata”.
Com’è nata la collaborazione con Gabriele Salvatores? Ho letto che il regista ha ascoltato i primi dieci minuti del CD “Hopi” e poi…. ha deciso che quella era la musica perfetta per il suo film. “E’ vero. La collaborazione è nata in maniera decisamente molto bella. Salvatores ascoltò il nostro CD “Hopi” e lui in quel periodo ci disse che stava cercando delle sonorità simile alle nostre. Doveva, d’altronde, descrivere uno scenario molto notturno. Il film è ambientato molto di notte. Nel romanzo, inoltre, spesso piove e c’è sempre tensione nell’aria. Fu un amico in comune a fargli ascoltare il nostro CD. E appena lo sentì disse: ‘Voglio loro’. Quando ci arrivò la sua chiamata per un po’ rimanemmo senza parole”.
Fu una chiamata importante? “Eh sì. Ecco: una chiamata importante”. “Subito dopo iniziammo a lavorare con lui – continua – e devo dire che quei brani li portiamo ancora dal vivo perché ci siamo ancora molto affezionati”.
Niccolò Ammaniti lo avete conosciuto? “Sì, lo abbiamo conosciuto – racconta – e abbiamo avuto anche il piacere di andare a casa sua per ascoltare un lavoro di Niccolò Fabi”. Il 2008 è l’anno della collaborazione proprio con Niccolò Fabi. Come vi siete conosciuti? “Ci conoscemmo un giorno che facemmo un concerto al ‘Circolo’. Un concerto come tanti altri. In quel periodo, d’altronde, suonavamo spesso per Roma. Alla fine del concerto venne a trovarci nel camerino e ci facemmo i complimenti a vicenda. Lui in quel periodo aveva pubblicato un album bellissimo: ‘Novo Mesto’. Così abbiamo suonato insieme per un suo progetto: ‘Violenza 124’. Poi lavorammo insieme anche per la colonna sonora di ‘Come Dio comanda’ dove lui suonava le tastiere. E noi abbiamo suonato anche in un suo pezzo: ‘Parti di me’. Dopo ci siamo ritrovati anche per la colonna sonora del film ‘Pulce non c’è’ di Giuseppe Bonito”.
Poi, all’improvviso, il regista Stefano Sollima per sbaglio incappa sul vostro “MySpace” e decide di chiamarvi per lavorare sulla colonna sonora di “ACAB”. Che ricordi hai di questa collaborazione? “Il fatto che la collaborazione sia nata attraverso la rete – mi spiega – è stato davvero bello. In quel periodo ‘MySpace’ per le band underground era lo strumento principale per affacciarsi al mondo. Con ‘MySpace’ nascevano collaborazioni e tour in giro per l’Italia.
“Stefano – spiega – è un grande ricercatore di musica. E’ sempre molto attento ed ha dei gusti ottimi. Questo si vede anche in tutte le scelte musicali dei suoi film. C’è sempre una grande ricerca nelle sue colonne sonore.’Romanzo Criminale’, per esempio, è un ‘continuum’ di bellissimi pezzi degli anni ’60 e ’70. Lui fin dall’inizio ci ha sempre spinto a dare il meglio e a non accontentarci. Se non ci fosse stato lui, probabilmente, non so se avremmo tastato in maniera così importante il mondo dell’elettronica. Noi non possiamo che ringraziarlo”. Quali sono le scene che più vi hanno colpito di “ACAB”? “A dir la verità sono tante. Per la dinamica sicuramente quando i poliziotti entrano sul treno per cercare un tifoso. Poi è molto bella la scena dove uno dei poliziotti va a protestare sotto Montecitorio”.
Nel 2011 suonate al “Palazzo delle Esposizioni” dove sonorizzate dal vivo il film “La fine di San Pietroburgo” di Vsevolod Pudovkin. Sollima vi ascolta e… cosa succede? “Probabilmente – confessa – le basi di ‘Gomorra’ sono nate in quel concerto. Fu un’esperienza che ci piacque tantissimo. L’organizzazione ci presentò questo progetto per musicare del vivo dei film muti russi. Avremmo dovuto suonare due ore senza input specifici. E a noi ci si aprì un mondo di libertà”.
“Ciò che vedevamo – racconta – potevamo interpretarlo e suonarlo secondo le nostre sensibilità. Ci eravamo chiusi nella nostra saletta prove, un box sull’Appia e facemmo queste due serate che andarono sold out in prevendita. In sala riservammo due posti per Stefano e Patrizio (Patrizio Marone, ndr) che diventeranno poi il regista e il montatore di ‘Gomorra’. E Stefano rimase affascinato dal modo in cui avevamo deciso di sonorizzare il film. Un film del 1917 al quale decidemmo di dare una sonorità contemporanea”.
“Un giorno Stefano – continua – mentre stava montando le prime scene di ‘Gomorra’ ci chiamò in moviola e ci disse: ‘Vorrei qualcosa di simile a quello che avete fatto al ‘Palazzo delle Esposizioni’. E in effetti quello che sentiamo in ‘Gomorra’ ha delle radici in quelle serate”. I primi demo quindi sono uno sviluppo di quello che avevate suonato in quel concerto? “Beh – racconta – c’è molto della strumentazione e dell’approccio”.
Com’è nata “Doomed to Live”? “E’ nata sulla scia dell’emotività – mi risponde subito – In questo primo incontro con Sollima, Patrizio ci fece vedere un montaggio non definitivo della prima puntata della prima serie di ‘Gomorra’. Fu un vero e proprio schiaffo in faccia. Aveva una forza incredibile. Noi rimanemmo davvero a bocca aperta. Da un lato c’era la forza del racconto del libro di Roberto Saviano, dall’altro c’era la forza delle immagini di Stefano. Lui ha una grande capacità di farti vivere il film in soggettiva”.
“Dopo aver visto questo primo montato – spiega – Stefano ci disse di cominciare a fare delle ipotesi. ‘Doomed to live’ è stato uno dei primi temi nati dopo quella prima visione e ha conservato poi la stessa struttura. Certe volte accade che scrivi un brano e poi lo sviluppi e lo trasformi col tempo. ‘Doomed to live’, invece ha sempre mantenuto la stessa forma fin dal primo momento. Evidentemente l’impatto delle immagini era stato talmente forte che ci ha immediatamente consentito di tradurre il tutto in musica”.
Sono sempre state quelle immagini a darvi ispirazione per il titolo? “Sì, sono sempre state le immagini. In quelle immagini c’era una delle scene più toccanti. Quando, cioè, Ciro Di Marzio saluta per l’ultima volta Attilio, quello che lui ritiene il suo padre putativo. Da quella scena, secondo noi, Ciro, soprannominato l’Immortale perché riesce sempre a sopravvivere alla varie situazioni, non si sente più immortale ma un condannato a vivere”.
Qual è il vostro personaggio preferito della serie? “Ognuno di noi ha il suo. Uno dei personaggi che ci ha affascinato di più è stato Salvatore Conte. Lui aveva questa grande capacità di unire il sacro con il profano. Come, d’altronde, avviene in tanti personaggi di ‘Gomorra’. E’ proprio una caratteristica della serie dove, infatti, spesso si vedono le icone della Madonna o di Padre Pio. “Poi – continua – c’è la grande capacità di reinventarsi di Ciro. E la capacità di rinascere di Don Pietro. Insomma, ogni personaggio, è stato sfaccettato molto bene nel racconto”.
Qual è la scena che secondo voi siete riusciti a valorizzare al meglio? Qui prende tempo: “Questa è davvero una domanda difficile…”. La scena dove la vostra colonna ha funzionato di più? “Allora – mi risponde – te ne dico un paio. Che poi chissà perché sono nella stessa puntata. Nella prima stagione c’è la puntata dove Ciro va in Spagna (si tratta della sesta puntata, “Roulette spagnola”, ndr) per riallacciare i rapporti con Conte. Ciro viene inviato in questo mega albergo di fonte al mare e lì in sottofondo c’è ‘Tragic Vodka’ che descrive bene, secondo me, questa tensione dentro di lui. Ciro, infatti, non sa ancora cosa succederà. Poi c’è la scena successiva quando, dopo la roulette russa, lui va a farsi un bagno, liberatorio, al mare”.
In “Gomorra” c’è molto rap e anche neomelodico. Com’è rapportarsi a tutti questi generi diversi? “Per noi è stato molto affascinante. Guardiamo con grande ammirazione la scena napoletana perché crediamo che non sia solo musica ma… vita. L”Hip Hop’ napoletano racconta tantissimo della vita. Per questo è una musica che stimiamo tanto. Siamo anche andati a fare dei concerti a Napoli e abbiamo anche conosciuto alcuni degli esponenti di spicco della scena ‘Hip Hop’ ed è stato molto bello”. Siete stati nelle zone dove è stato girato Gomorra? “Sì – mi spiega – ci siamo stati poco prima dell’uscita della seconda stagione. ‘Sky’ aveva organizzato un servizio per raccontare come nascevano le musiche della serie e siamo stati accompagnati da Lucariello nei posti di ‘Gomorra’. Siamo stati anche dentro le ‘Vele’ ed è stato un impatto davvero importante”.
Nel 2017 esce il vostro album “Chronicles”. Il vostro primo album, escluse le colonne sonore, dal 2006 quando uscì “Hopi”. Com’è stato tornare a lavorare su un album? “E’ stato molto bello e credo che sia necessario ogni tanto concedersi del tempo per se stessi e fare delle scelte in autonomia. ‘Chronicles’ raccoglie le esperienze di questi ultimi dieci anni passati a dialogare con il mondo del cinema. Da parte nostra c’è sempre la voglia di rinnovare la nostra esperienza musicale. L’album è a tutti gli effetti una fotografia di questi anni”.
Da qui la scelta del titolo? “Anche… – spiega – Avevamo varie ipotesi. ‘Chronicles’ raccoglieva bene tutto il senso di questo percorso”. La copertina mi è piaciuta molto. C’è un ragazzino chiuso in una sorta di modulo che guarda verso il cielo. Qual è l’idea dietro la copertina? “E’ una foto fatta da una nostra amica in Giappone. In questo parco giochi tutto è modulare e i bambini possono entrare liberamente. Lei è riuscita a catturare questo momento bellissimo dove un bambino guarda in cielo. Sembra una foto voluta invece è stata del tutto casuale. La foto rappresenta benissimo anche il significato dell’album, il contrasto tra il naturale e l’artificiale”.
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Cos’è cambiato musicalmente rispetto a “Hopi”? “Credo che ci stiamo avventurando in territori che per noi erano inavvicinabili quando abbiamo registrato ‘Hopi’. Ma devo dire che abbiamo conservato molto dell’approccio di quell’album. Credo che da un lato siamo andati a semplificare, dall’altro ad approfondire il nostro percorso musicale. Sul come, sinceramente, non saprei dirti in maniera precisa. Però… qualcosa è successo. Qualcosa che ci ha trasformato. Parliamo di un percorso che nel 2019 compie 19 anni. Una persona che è diventata più che maggiorenne”.
Nel 2018 componete la colonna sonora di “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini. Il film, come tutti sanno, parla della storia di Stefano Cucchi. Com’è nata la collaborazione? “Siamo stati contattati dalla produzione. Era appena iniziata la lavorazione del film e ci chiesero dei provini. Noi facemmo dei provini pensando alla storia di Stefano Cucchi. Storia a cui tutti noi tenevamo sotto ogni punto di vista. Ascoltati quei provini, il regista scelse noi. E devo confessare che questa collaborazione ci ha portato ad esplorare molto più di quello che appare. Il film ha raggiunto una colonna sonora che in molti hanno definito mimetica”.
“E questa definizione – continua – ci piace molto. Era quello che desiderava il regista e che volevamo anche noi. Il film poteva avere tante altre sfaccettature musicali e invece è stata scelta quella più intimista e riflessiva. Per arrivare a questo risultato sono state fatte tante ipotesi musicali. Ma alla fine credo sia stata scelta la migliore”.
“Che dire poi – conclude – Tutto quello che è successo dopo ci ha veramente colpito perché il film si è trasformato in un fenomeno sociale”.
Qual è la scena del film che vi ha colpito di più? “Beh, sceglierne una è difficile. Certamente la scena in cui Stefano è da solo, seduto su una panchina del carcere. Una scena che crea molto dolore. Lui crede di essere stato lasciato solo ma soltanto perché non riesce ad avere più contatti con l’esterno. In realtà fuori si sta già lottando contro la burocrazia”. Uno dei brani che mi ha colpito di più è “Le Scale”. Ed è anche una delle frasi che mi ha colpito più del film. Quando un poliziotto chiede a Cucchi: “Quando la finiremo co’ sta stronzata della caduta dalle scale?” E lui risponde: “Quando le scale smetteranno de menàcce”. “Sì perché il brano ha questa marcia. Sembra una processione”.
“Devo dire – mi spiega – che poi in quelle scene emerge la bravura e la capacità di Alessandro Borghi che ci ha restituito uno Stefano Cucchi che, anche nel momento di dolore, non perde l’occasione di essere sarcastico”. Avete conosciuto i familiari di Cucchi? “Ci siamo incrociati a Venezia durante la proiezione del film”. Che emozioni avete provato scrivendo questa colonna sonora? Ho letto, se non sbaglio, che alcuni di voi abitavano nello stesso quartiere di Stefano Cucchi. “Sì, io abitavo a Torpignattara. Luca abita ancora lì. Devo dire che l’aria che si respirava nei giorni successivi era molto intensa. Si facevano molte manifestazioni. Si sentiva che era successo qualcosa che non doveva succedere”.
Il 29 marzo andrà in onda la nuova stagione di “Gomorra”. Che novità dobbiamo aspettarci per la colonna sonora? Ammetto che qui mi aspetto una raffica di ‘no comment’. Qui scoppia a ridere: “Invece no. Su questo posso parlare. Ti posso confessare che ci saranno dei nuovi temi. E noi siamo molto felici di questo. Siamo contenti di questo input che ci è stato dato dai registi e da Francesca Comencini che è l’attuale supervisore artistica. Ci è stato dato l’input di rinnovare il sound in funzione del rinnovamento della serie”.
“Ma qui – e ride di nuovo – mi devo fermare”.
Che aggettivo useresti per descrivere questa nuova stagione? Ci pensa un attimo. Poi risponde: “Direi… intensa”. Ma Ciro… è morto? “Eh no… – mi ferma subito e ride – qui… no comment”.
Un consigliere municipale di Napoli, parlando di “Gomorra”, ha detto che questa serie non rappresenta la realtà. La serie, secondo questo consigliere, sta lucrando buttando spazzatura sulla città. Cosa ne pensi quando vengono fatte queste critiche alla serie? “Non saprei cosa dirti. Io prima di lavorare su ‘Gomorra’ non ero mai stato a Napoli. Quando sono andato mi sono completamente innamorato di una città meravigliosa dove, in senso positivo, si respira un’aria che non si respira da nessun altra parte. Io per Napoli ho solo aggettivi positivi. Per la città e per le persone che ho conosciuto. Sono anche andato per lavoro e mi sono trovato sempre bene. Queste tipologie di critiche le fecero anche per ‘Romanzo criminale’ o ‘Suburra’. E’ chiaro che ognuno poi può esprimere la proprio opinione”.
Avete avuto occasione di conoscere Roberto Saviano? “Purtroppo no. Lo abbiamo incrociato tanti anni fa alla consegna delle cinquine dei Nastri d’argento. Poi ci fece molto piacere quando ci citò in un tweet in occasione della prima stagione”. Questa sarà l’ultima stagione di ‘Gomorra’? “Più che con un ‘no comment’ stavolta devo confessarti che proprio non lo so”. Si è parlato anche di un possibile ‘spin-off’ incentrato su Ciro Di Marzio… “Ne abbiamo sentito parlare ma non sappiamo nulla di questo progetto”. Le canzoni di ‘Gomorra’ sono diventate molto famose anche all’estero. Che effetto vi fa? “Siamo rimasti molto colpiti da tutto questo interesse e ci fa molto piacere. L’interesse è arrivato anche dall’Egitto, dal Sud America, dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania. Siamo veramente felici di come stanno andando le cose. ‘Gomorra’ è un progetto dove tutti hanno veramente lavorato al massimo”.
Nei prossimi anni tornerete a lavorare su un nuovo album? “Ci stavamo pensando. Si sta rinnovando dentro di noi la necessità di fare qualcosa di nuovo, anche per rinnovarci. Noi siamo sempre molto affascinati dall’innovazione nella musica e ci piacerebbe fotografare questo rinnovamento in un album. Ma non abbiamo date. Per ora è solo una intenzione”.
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