Siae contro tablet e smarphone: tra i due litiganti, il terzo (noi) paga?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Marzo 2014 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Siae contro tablet e smarphone: tra i due litiganti, il terzo (noi) paga?

Tassare i telefonini per garantire il diritto d’autore? L’articolo di Alessandro Di Liegro sul Messaggero

ROMA – Da una parte la Siae, che ora è presieduta da un artista, Gino Paoli, dall’altra le case produttrici di tablet, smartphone, pc e hard disk: la partita che si sta giocando è quella sul diritto d’autore in quella che Alessandro Di Liegro sul Messaggero definisce “l’epoca della illimitata riproducibilità di un’opera“.

Il rischio è che fra i due litiganti a pagare (e non a godere) siano i consumatori, gravati da una nuova tassa sull’acquisto di prodotti che in Italia sono già più cari che nel resto del mondo: telefonini, tablet e computer, appunto.

L’obiettivo della Siae è l’adeguamento dell’equo compenso per la copia privata di tutto ciò che può essere riprodotto sui nuovi telefonini. Spiega Di Liegro:

“Previsto dalla legge Bondi del dicembre 2009, è stato sottoposto a revisione dall’ex ministro Bray che aveva richiesto alla Consulta per il diritto d’autore di stilare una tabella aggiornata al mercato e alle medie europee per i Paesi che prevedono l’equo compenso. Per i produttori di strumenti tecnologici come tablet e smartphone, che già pagano un obolo di 90 centesimi il primo e 1,90 euro il secondo alla Siae, il costo andrebbe ad aumentare a 5,2 euro che diventerebbero 6 per i computer. A sostenere idealmente il diritto degli autori è arrivato, lo scorso 27 febbraio, il rapporto Castex, dal nome dell’eurodeputata francese firmataria della relazione, che consigliava gli Stati Membri di rivedere, appunto, le quote da destinare agli istituti di intermediazione.

Cosa succede nel resto d’Europa?

«La situazione in Europa non è uniforme – afferma l’avvocato Roberto Cartella dello studio legale Akran, esperto di diritto d’autore – ci sono Paesi dove il carico è molto alto, come in Francia, mentre in altri non c’è proprio, come in Inghilterra. Su 28 Paesi solo in 22 è previsto l’equo compenso per copia privata e, di questi, in sei non è presente». Da questo aumento, la Siae andrebbe a ricavare dai 130 ai 200 milioni di euro, contro i 65 del 2013, con un aggravio di circa 128 milioni sull’industria Ict/It, secondo Confindustria Digitale. Questo ricavo aggiuntivo sarà poi ridistribuito in maniera proporzionale agli incassi del singolo associato.

La proposta di adeguamento, se da un lato raccoglie i favori di parte di autori, editori e produttori culturali, dall’altra riceve forti critiche dalle aziende tecnologiche e dalle associazioni a difesa dei consumatori. Mentre i primi giudicano eccessivo il ricarico sui prodotti, i secondi temono che i produttori di tecnologia di largo consumo possano ricaricare il prezzo finale. «Ha mai visto qualcuno che non scarica i costi aziendali sul consumatore»?, domanda Pietro Giordano, presidente di Adiconsum. «Lo chiameranno in un altro modo, ma alla fine il prezzo subirà sicuramente si alzerà. Non è che per colpire la pirateria ne vanno di mezzo tutti quanti». E intanto, insieme ad altre otto associazioni di consumatori, Adiconsum ha diffidato le aziende dal non aumentare i prezzi, in attesa del giudizio del Tar.

Sotto accusa, quindi, i dispositivi capace di riprodurre contenuti. «Ho visto le ultime pubblicità degli smartphone. In nessuno di questi c’è gente che telefona. In uno in particolare, il claime è: sempre più persone ascoltano musica con iPhone», dice Filippo Sugar, a capo dell’omonima casa discografica e membro del cda Siae. «Uno smartphone in Italia costa anche 60 euro in più rispetto a Francia e Germania, contro un equo compenso che, in confronto, è risibile. Diremo al Ministro che c’è un comparto stufo di essere penalizzato in quanto italiano. Non capiamo perché i nostri artisti, i nostri autori e produttori che pagano le tasse e lavorano in Italia debbano essere umiliati rispetto ai loro colleghi europei».

Fronte dello streaming: il contenzioso degli autori con Sky e con la Rai

Inoltre chiederanno che venga tirato fuori dal cassetto lo studio richiesto dall’ex ministro Bray, che aveva inserito la norma dell’equo compenso all’interno della manovra di stabilità. «Si tratta di rispettare la legge vigente che l’Europa ha riconosciuto e ribadito», dice Andrea Purgatori, sceneggiatore e autore, consigliere di sorveglianza della Siae. «Negli ultimi anni i provider telefonici non hanno versato un euro per l’equo compenso, eppure permettono la visione di contenuti audiovisivi sui dispositivi elettronici. Abbiamo aperto un contenzioso con Sky perché sono tre anni che non paga i diritti per l’equo compenso e con la Rai perché permette lo streaming in diretta dei propri programmi non riconoscendo nulla agli autori. Cosa sarebbero queste televisioni togliendogli il cinema e la musica? Niente». Da Confindustria Digitale, al contrario, arriva uno stop alla proposta di adeguamento tariffario ritenuto ingiustificato e dannoso per l’Agenda Digitale italiana e accoglie la proposta dell’eurodeputato Castex di sviluppare tavoli di studio sulle reale quota media europea. «Sarebbe un pessimo segnale per il Governo – scrivono in una nota ufficiale – aumentare i costi sul digitale come primo atto».