‘Nessun dorma’, canta Calaf ed è il momento più alto della Turandot e più atteso dal pubblico al Teatro Antico di Taormina, che applaude a lungo il tenore Dario Volonté a scena aperta, anche se poi alcuni fischi lo contestano alla fine per una bella e chiara voce, ma non così potente come ci vorrebbe all’aperto. Sono però gli stessi che invece applaudono forte la non fortunata esibizione del soprano Francesca Patané nei panni della crudele protagonista.
Del resto un’opera come questa, momento culminante della programmazione di Taormina Arte, dove si replica anche domenica, non attira per la qualità della sua esecuzione e interpretazione musicale, che all’aperto in parte vanno inevitabilmente perse, ma per il fascino e gli effetti spettacolari, in uno scenario già eccezionale di per sé. E questi non sono mancati grazie alle scelte del regista e scenografo Enrico Castiglione che, oltre a puntare su una ricchezza d’azione, con scene e controscene, ha, come per l’Aida dello scorso anno, puntato su stupefacenti proiezioni a effetti tridimensionali sulle colonne e le nicchie del fondo della scena del teatro greco che si trasformano magicamente in templi e palazzi cinesi con le colonne laccate di rosso, tettoie di tegole di ceramica colorata e aperture su giardini e animali, a contornare e contenere le pedane su cui si muovono gli interpreti.
Giocando sui colori tradizionali, rosso, verde, celeste e oro, questa scenografia tutta virtuale, con qualche tendenza al cartone animato per qualità e tipo di disegno, cambia più volte, ma viene utilizzata anche per effetti che sottolineano e accrescono i momenti emotivi dell’azione e del canto, ora macchiandosi di sangue e virando a un rosso che a macchie invade e pervade tutto, ora facendo improvvisamente crescere tralci fioriti sulle colonne e sbocciare cespugli, nel momento in cui Turandot cede all’amore e abbraccia Claf nel finale.
Alla malvagia e sanguinaria principessa viene regalato il lieto fine, un po’ posticcio, sull’onda della musica scritta da Franco Alfano che, a suo tempo, ha completato l’opera, pur seguendo le indicazioni lasciate da Puccini, ammalatosi e morto durante la sua stesura nel 1924. Puccini è arrivato a scrivere sino alla morte di Liu’, la giovane del popolo che per fedeltà e amore non tradisce Calaf, fino a scegliere di suicidarsi per non cedere alle torture e rivelarne il nome.
Se Turandot lo avesse saputo, avrebbe potuto, per la sfida che questi le ha proposto dopo avere sciolto gli enigmi che gli danno diritto a sposarla, mandarlo a morte e rimanere chiusa nel suo odio per gli uomini, legato alle sevizie subite da una sua regale ava al tempo dell’invasione dei tartari. Una serata insomma spettacolare sotto un cielo sereno e stellato, solcato, tra il secondo e terzo atto, da una stella cadente talmente grande e luminosa da aver levato un ”Oh!” generale a tutti i presenti. Buona l’esecuzione affidata all’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele di Messina ben diretta da Fabio Mastrangelo, mentre, come si è detto, per un’edizione di questo tipo, hanno lasciato un po’ a desiderare le voci, specie quella della Patané, comunque applaudita con la Liu’ di Chiara Taigi, mentre i migliori in campo sono parsi Ping, Pong e Pang, rispettivamente Leonardo Galeazzi, Massimiliano Chiarolla e Aldo Orsolini, tutti nei bei costumi di seta firmati da Sonia Cammarata.