ROMA – La musica giovanile del presente è colonizzata, egemonizzata a tutte le latitudini da rap e hip-hop, forme espressive peculiari e identificative della cultura afroamericana. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] Un nero americano deve esserne orgoglioso per forza?
C’è chi dice no, un no che non smette di risuonare perché proviene dall’ultimo genio del jazz, Wynton Marsalis, il trombettista e professor Marsalis. Non gli piace il rap, e non teme di incorrere in banali generalizzazioni, non gli piace l’autodenigrazione dei fratelli neri, non sopporta la descrizione di sé implicita nei testi delle canzoni.
“Il rap e l’ hip-hop sono più dannosi di una statua del generale sudista Robert Lee”, ha dichiarato, tanto per essere chiari e citando un simbolo dei confederati della guerra civile che continua a sventolare anacronistico e minaccioso nel sud razzista.
“Io non credo che dovremmo avere una musica che parla di negri, puttane e criminali. È più dannoso di una statua di Robert Lee. L’ ho detto, l’ ho ripetuto, lo ripeto ancora. Ma le mie parole non sono così potenti”, spiega Marsalis. Lui che ha vinto un Pulitzer, che dirige il Lincoln Center di New York dedicato al jazz, forse è la personalità più qualificata a un Kanye West, star del r&b più commerciale che ogni tanto delira simpatizzando con Trump o sraparla di schiavitù come scelta dei neri.
“Io – ha replicato Marsalis – non presterei alcuna seria attenzione alle sue dichiarazioni. West fa prodotti, ne sta lanciando uno sul mercato, e vuole venderlo. Se lui dice roba, e la gente ne parla, poi comprerà il suo prodotto”.