LONDRA – La musica certo, 50 anni di rock declinato in tutti i modi possibili e unici ma anche icona di stile, originale, provocatoria, definitiva ancora oggi: David Bowie ha interpretato la sua vita in una dimensione artistica completa e sempre d’avanguardia che lo ha consegnato alla storia non solo per la musica. Non è un caso che la Bbc tre anni fa lo avesse messo al primo posto, più di qualunque altra personalità, Re dello stile, in una classifica di Storia definendo David Bowie il britannico meglio vestito di tutti i tempi, precedendo la regina Elisabetta I e la prima delle socialite moderne, Georgiana Cavendish, duchessa di Devonshire.
Che si presentasse con gli stivali rossi e le zeppe altissime, i capelli arancioni o androgino con la testa scolpita o elegantissimo in pantaloni affusolati e camicia bianca da Duca, David Bowie lasciava il segno da vera style fashion icon, trendsetter capace di influenzare moda, arte, design, persino beauty. Un segno tangibile della sua popolarità anche come mito di cultura contemporanea si è visto nel 2013 quando la mostra-omaggio al Victoria & Albert Museum di Londra – David Bowie is – è andata sold out con un record di spettatori, oltre 300 mila in poco più di 4 mesi (sotto la retrospettiva virtuale in video).
Tutti in fila per vedere l’archivio del Duca Bianco e anche il suo guardaroba, una retrospettiva completa del musicista continuamente cangiante, da artista performer che non si è mai sottratto al gusto non tanto della provocazione (la sessualità indefinita e l’omosessualità degli anni ’70) dell’originalità. Una Bowie mania ciclica e affettuosa ha colpito per cinque decadi il pubblico non solo dei dischi e dei concerti, sorpreso ogni volta dalle sue cover stilose, dai video trasgressivi o dalle immagini di cronaca.
Magari non abbiamo osato la tuta a pelle ma chi non ha provato a rifare il suo ciuffo punk o gli ombretti metallici sugli zigomi? Alla Mostra non aveva collaborato direttamente, limitandosi a mettere a disposizione il suo archivio, lasciando che il museo scegliesse autonomamente dal suo passato. E che storia: un percorso che cominciava con il Bowie ragazzino, anno 1963, sassofonista ancora con il nome di David Jones per la band The Kon-rads nella Londra ruggente di meta’ anni ’60, immortalato da Roy Ainsworth.
Poi la stanza di Ziggy Stardust con la tuta spaziale disegnata per lui e con lui da Freddie Burretti nel ’72 per l’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars in cui interpreta il ragazzo divenuto rockstar grazie agli extraterrestri venuti da Marte. E’ il Bowie androgino che appare sulla Bbc con i capelli arancioni, gli stivali rossi e la tuta multicolor inventando uno stile sessualmente ambiguo.
Poi c’è il Bowie che amava Lindsay Kemp, l’arte del mimo e le performance giapponesi Kabuki, come testimoniano le foto di Brian Duffy per la copertina di Aladdin Sane per il cui tour ebbe gli stupendi vestiti di Kansai Yamamoto, mentre vestito da Pierrot con i costumi disegnati per lui da Natasha Korniloff appare nella copertina e nel video per l’album Scary Monsters del 1980.
Bowie e la moda: anche questa una strada, come quella che lo fece incontrare con Alexander McQueen: insieme disegnarono il famoso cappotto con la Union Jack per la cover dell’album the Earthling (1997). Una passione ricambiata, riaccesa recentemente dal ritorno punk rock anni ’80 sulle passerelle – a Parigi Jean Paul Gaultier due anni fa intitolò la sfilata Ziggy Stardust per la collezione autunno inverno 2013/2014.
E poi l’arte: dal David Bowie Archive il V&A tirò fuori gli scatti di Helmut Newton, Herb Ritts e John Rowlands, le liriche di Bowie scritte a inchiostro e i suoi collage di parole ispirate alla tecnica cut up di William Burroughs e memorabilia di ogni sorta scelte tra 60 mila di un immenso materiale da cui Victoria Broackes e Geoffrey Marsh, responsabili del dipartimento di teatro e performance del V&A selezionarono i 300 pezzi della mostra.