“M Il figlio del secolo” di Antonio Scurati è pieno di errori, almeno 8 secondo l’elenco stilato da Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera. “Senza contarne altri, minori”. Il romanzo che per protagonista ha Benito Mussolini e “in cui d’inventato non c’è nulla”, è al centro di un doppio polverone, in quello alzato da Galli Della Loggia e quello sollevato da destra: perché “M” ha successo? Perché non è un libro antifascista, sulla linea esaltata da Repubblica (dove peraltro c’è qualche intoppo tecnico), ma una ricostruzione e rivalutazione onesta e (quasi) imparziale del fascismo. Ne ho scritto sul mio blog, ve ne offro una versione integrata da qualche ricerca.
Ernesto Galli della Loggia nelle 850 pagine opera dello scrittore napoletano ha contato i seguenti errori:
1 aver attribuito a Carducci invece che a Pascoli l’espressione, coniata per l’Italia, «la grande proletaria»;
2 aver chiamato «professore» Benedetto Croce, «che per tutta la vita gratificò di tutto il disprezzo immaginabile l’Università e i suoi professori, che fu l’antiaccademismo vivente»;
3 aver sbagliato la data di Caporetto,
4 aver scritto che Antonio Salandra «porta sulla coscienza sei milioni di morti» per aver deciso l’entrata in guerra,
5 aver definito Gramsci un «politologo»,
6 aver scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli elettricisti e che nel 1922 al Viminale «ticchettavano le telescriventi»,
7 aver qualificato monsignor Borgongini Duca come «ambasciatore inglese presso la Santa Sede»,
8 aver citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922, quando De Sanctis avrebbe avuto 105 anni.
Galli Della Loggia precisa a quali pagine si trovino: “Rispettivamente: 199, 537 e 784, 12, 837, 835, 498 e 571, 601, 610” e aggiunge: “Vi sarebbero altri svarioni «ma non mi sembra il caso di pignoleggiare”.
Ne segue, bocciatura per lo scrittore, anatema sugli editor, che hanno passato il testo senza minimamente controllarlo, e sui critici che, esaltando il libro, non si sono accorti di niente: “Come è mai possibile, mi domando, che nessuno (sono pronto a ricredermi se sbaglio, ma non credo) abbia notato neppure di sfuggita degli svarioni così marchiani?
“Le risposte possibili sono due. O bisogna pensare che alle recensioni plebiscitariamente favorevoli, spesso entusiastiche, in realtà non abbia corrisposto l’effettiva e completa lettura del testo, ovvero che chi ne ha parlato non abbia notato gli svarioni di cui sopra apparendogli questi insignificanti o perché condivideva con il suo autore il medesimo livello di conoscenza della storia patria. In entrambi i casi un esempio non proprio esaltante, anche qui, di quale Paese sia l’Italia attuale”.
A Ernesto Galli della Loggia ho spesso rimproverato, e mi scuso per l’impertinenza, l’esagerata lunghezza dei suoi editoriali. Ma questa volta, come si dice, chapeau! Non c’è niente di più fastidioso delle sciatterie.
Mentre la polemica segue il suo corso, con la replica di Scurati (“Ci sono, nel mio libro, questi errori e probabilmente anche altri, nonostante Bompiani abbia sottoposto il testo a doppia revisione da parte di un letterato e di uno storico specialista del periodo. […] L’imperfezione è inevitabile, soprattutto in un libro di 850 pagine che abbraccia un’intera epoca. Io ho studiato per anni per fornire al romanzo una solida base documentale [ma…] non ho mai sostenuto di essere infallibile”) da destra si alzano lodi (Renato Berio sul Secolo d’Italia):
“Come mai il libro di Scurati si vende? Come mai nessuno percepisce che si tratta di un libro fondativo di un nuovo antifascismo (come l’autore e la casa editrice Bompiani l’avevano presentato) e anzi viene letto come una storia del fascismo esente da pregiudizi (non del tutto esente, poi, perché qua e là il pregiudizio affiora)? Forse semplicemente perché, a furia di rimozioni, di condanne postume, di demonizzazioni, il passato si riprende il posto che gli spetta tra coloro che sono interessati a capire. E poiché Scurati ha voluto fare del fascismo un racconto-feuilleton, seguendo Mussolini passo dopo passo, mese dopo mese, anno dopo anno, infrangendo la frettolosa etichetta di “mostro” che gli era stata affibbiata, anzi trasformando il fascismo in un manufatto pop, ha realizzato suo malgrado un libro revisionista. Revisionista perché non si adatta né allo schema apologetico dei nostalgici, né allo schema esorcistico degli antifascisti. E la storia, quando è revisionista, piace, incuriosisce e convince. E pone interrogativi”.