Afghanistan, gli americani e la Nato si ritirano. E con loro 895 soldati italiani. Dopo vent’anni, tutti a casa. La “guerra eterna“ è finita. Il primo maggio cominceranno i rientri, l’11 settembre – data iconica dell’attacco terroristico al World Trade Center e al Pentagono giusto vent’anni fa ( 11 settembre 2001 ) che costò la vita a 2.977 civili e 19 attentatori appartenenti ad al Qaida – la ritirata sarà completata.
Restano sul tappeto un Paese disastrato con i talebani ancora più forti. E 2.400 soldati americani morti insieme a decine di migliaia di civili afghani. Sentenzia lo speciale del New York Times: “È stato un ventennio inutile“. E giù il lungo elenco degli insuccessi.
Biden però ha già dichiarato che “anche se non siamo più militarmente impegnati, il nostro lavoro diplomatico e umanitario proseguirà“. Avvisati.
L’attacco iniziato da Bush ha dispiegato 800.000 soldati americani ed è costato oltre 2 mila miliardi di dollari. Senza contare le centinaia di miliardi, già pianificati, da destinare alla assistenza medica e alla disabilità dei veterani da qui ai prossimi decenni.
Emergency rincara la dose: “La guerra in Afghanistan è uno dei più grandi fallimenti umani e di politica estera dei nostri tempi“. E Unama (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) ha calcolato che soltanto l’anno scorso le vittime civili sono state 8.820. E il Paese è tutt’altro che normalizzato.
Germano Dottori, analista e consigliere scientifico di Limes (rivista di geopolitica facente parte del gruppo editoriale Gedi, fondata nel 1993 da Lucio Caracciolo) ritiene possibile “l’insorgenza del movimento estremista talebano”. Occhio al radicalismo d’esportazione.
Gli italiani lasciano Herat e Kabul a giorni. Anche noi abbiamo avuto i nostri caduti (54). In più ci ritiriamo a mani vuote. Non abbiamo saputo cogliere le opportunità imprenditoriali ed economiche che offriva l’area più progredita e pacifica del Paese.
Lo sostiene anche il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi, primo italiano ad aver ricoperto il ruolo di capo di Stato Maggiore della Missione Isaf tra il 2008 e il 2009. Ha dichiarato all’agenzia Agi “che noi avevamo un ruolo importantissimo. Non eravamo uno dei 40 Paesi che partecipavano alla missione ma uno dei quattro – con USA, Gran Bretagna e Germania – che avevano di fatto ciascuno il controllo di un quarto del Paese. L’Afghanistan è di fatto in guerra dal 1979, dai tempi dell’invasione russa, e noi probabilmente avremmo potuto fare meglio sotto l’aspetto imprenditoriale “.
Il ritiro dei nostri soldati dall’Afghanistan non è semplice
Ci sono rischi e pericoli che non vanno sottovalutati. Certo, non tanto per il personale. Alla fine si tratta di 800 uomini. Né possono creare problemi insormontabili il grosso dei mezzi – carri, materiali pesanti, aerei – perché buona parte è già in Italia.
Si tratta pur sempre di uscire da un Paese che non ha ferrovie e non ha sbocchi al mare. Quindi ci si dovrà affidare solo al trasporto aereo e “trovare voli con determinate capacità sul mercato o chiedendo il supporto della Nato“. Parola del generale.” Dobbiamo ricordarci che non ce ne andiamo solo noi. Se ne vanno tutti. Questa guerra ci è costata una fortuna: 8,5 miliardi. E non abbiamo solo perso denaro e vite umane. Abbiamo perso vent’anni.