ROMA – Assegno divorzio, quanto si paga d’ora in poi visto che da ieri è cambiato tutto, proprio tutto? Chi, quando e soprattutto quanto. Chi deve pagare, quando deve pagare e quanto deve pagare con le nuove regole introdotte dall’ultima sentenza della Cassazione in tema di divorzio. Una sentenza che ha rivoluzionato la materia, mandando in soffitta il criterio del “tenore di vita goduto” in favore di quello dell’autosufficienza per la quantificazione dei rapporti economici tra ex coniugi. E una sentenza alla cui luce non solo cambieranno le cose da oggi in poi, ma anche chi ha già divorziato potrà chiedere una revisione dello status quo. Cominciamo dal punto più scottante, il ‘quantum’, cioè quanto peseranno i futuri assegni di mantenimento.
Un esempio pratico l’hanno fatto gli avvocati che si occupano di divorzi parlando di assegni da 50mila euro (annui) che potranno diventare da 5/6 mila. Volendo essere ancora più concreti, essendo stato introdotto il criterio dell’autosufficienza come elemento di valutazione dell’assegno, diventa quasi auto-evidente che questo difficilmente potrà essere molto distante da un reddito minimo-medio. E’ quindi probabile che d’ora in poi, a meno di accordi privati, nessun ex si trovi a staccare assegni da migliaia di euro. Ma quale ex deve pagare?
E veniamo al secondo punto, il chi. Qui le cose non cambiano rispetto al passato. E seppure la realtà veda solitamente gli ex mariti mantenere le ex mogli, il criterio rimane quello per cui è il più ‘ricco’ a mantenere il più ‘povero’ dei due ex coniugi. Quindi, se la moglie sarà nullatenente e disoccupata sarà l’ex marito a versare un (a questo punto piccolo) assegno, ma se fosse il marito ad essere disoccupato, le cose, in linea teorica, potrebbero anche capovolgersi. C’è poi un alto chi, e cioè per chi valgono le nuove regole? Per tutti. Chiaramente per chi si troverà d’ora in poi nelle condizioni di dover ricorrere ad un giudice per sciogliere un vincolo matrimoniale, ma anche per chi, avendo già divorziato, vorrà chiedere ora una revisione di quanto stabilito in precedenza, insomma una revisione verso il basso dell’assegno.
Infine, il quando. Quando uno dei due ex deve mantenere l’altro? Solo quando uno dei due non sia autosufficiente. E cioè d’ora in poi non ci sarà sempre e comunque l’obbligo di far conservare all’ex di turno il tenore di vita goduto in passato, non ci sarà quindi un legame economico tra i due ex coniugi eterno, ma il mantenimento sarà dovuto solo quando uno dei due ex si troverà nelle condizioni di non avere reddito, non aver beni mobili o immobili e non sarà in grado di rendersi indipendente. Insomma se l’ex coniuge ha lavoro, patrimonio o casa l’assegno non si paga perché non gli spetta. Resta, ovviamente, invariato il tema del mantenimento dei figli.
Le nuove norme, anzi i nuovi parametri si applicano infatti solo al rapporto tra i due ex coniugi, mentre restano tutti gli obblighi derivanti dal mantenimento e dall’educazione dei figli con relativi costi a carico dei genitori divorziati o separati. Una vera e propria rivoluzione che supera e scardina quello che è stato un pilastro della società italiana praticamente sino a ieri. E cioè il matrimonio inteso come sistemazione, sistemazione, porto sociale soprattutto della donna. Una concezione che ha fatto, e anzi in molte luoghi della geografia e della società italiane fa ancora parte della realtà di tutti giorni. Tanto che di fatto su questa base era stato regolamentato il divorzio quando fu introdotto nel nostro Paese. Da allora molte cose sono cambiate e tra queste la società. Ma non tutta la società.
Ci sono resistenze e malumori verso questa sentenza, soprattutto da parte femminile. Una ostilità inconfessata, latente ma furente: quella di donne di ogni ceto sociale che consideravano diritto acquisito e a vita il trarre vantaggio economico dal matrimonio contratto. L’altra decisamente più rispettabile quella di donne che avendo rinunciato a suo tempo a cimentarsi sul campo del lavoro, avendo scelto la dimensione casalinga e non più giovani, qui e oggi in caso di divorzio si troverebbero in difficoltà economiche se assistite da assegno divorzile da reddito minimo-medio.
D’altra parte è da tempo sotto gli occhi l’intollerabile ingiusta situazione di maschi divorziati percettori di redditi medio-bassi precipitati in concreta miseria perché obbligati a corrispondere assegno pari alle “condizioni di prima”. La legge obbligava alla ingiusta follia matematica di prendere duemila euro al mese di “tenore di vita precedente” e farli diventare quattromila, cioè duemila al ex coniuge o quasi e zero o quasi a chi pagava l’assegno. Troppo comuni sono infatti diventate le storie di ex mariti in fila alla mensa della Caritas o finiti a dormire in macchina.
“La Prima sezione civile – si legge nella sentenza – ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede”. Con la sentenza di divorzio, osserva la prima sezione civile, “il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. Un diamante è per sempre, l’assegno di mantenimento non più.