Autovelox, viva truth-cam per non essere ammazzati da signora in smarthphone

Autovelox, viva truth-cam per non essere ammazzati da signora in smarthphone
Autovelox, viva truth-cam per non essere ammazzati da signora in smarthphone (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Autovelox, nei fatti troppo spesso una persecuzione che segue ad un agguato. Non ci sta simpatico l’autovelox, o almeno è insopportabile e vessatorio come lo usano troppe amministrazioni. Non un deterrente ad andare troppo e pericolosamente veloci in auto. Nulla avremmo da dire contro un autovelox che significa 1.800 euro di multa vera, o la multa pagata o la macchina sequestrata se l’autovelox ti fotografa a 180 chilometri l’ora in autostrada o a 90 all’ora in città.

Ma spesso, troppo spesso, non è questo l’autovelox che incontriamo. In agguato sulle strade c’è l’autovelox che se vai sette chilometri l’ora o giù di lì più del limite dei 40 o 50 l’ora ti estorce una sorta di “pizzo” di qualche centinaio di euro più punti sottratti alla patente. Non ci sta simpatico, ci è infatti nemico e serve a far cassa e non sicurezza.

Però dice, annuncia che arriva, è arrivato un autovelox benedetto. Che ci piace e che se lo usano in maniera massiccia questo davvero ci protegge. Viva dunque la truth-cam, la camera verità che può salvarci la pelle, può evitare che la signora in smartphone ci ammazzi.

La truth-cam inquadra, fotografa e spedisce a domicilio l’immagine incontrovertibile e inconfutabile del guidatore/guidatrice che mentre guida chatta, lavora di waths-app, va di tablet. Mica solo telefona che già sarebbe ed è pericolo quotidiano, massiccio e tollerato in massa.

Man mano che discendi nella penisola il numero di coloro che guidano con una mano sola, l’altra eternamente impegnata a sorreggere lo smartphone aumenta fino a diventare regola. In molti, moltissimi lo considerano un diritto inalienabile quello di guidare e telefonare. Con le cuffie e soprattutto senza. Ma fosse solo questo…

Le prime applicazioni concrete della truth-cam hanno mostrato le immagini di ciò che fa la gente al volante. Legge e risponde ai messaggi, scorre e produce di facebook, posta e naviga. Con una mano e mezza sta sullo smartphone e con mezza testa abbondante e due occhi interi per lunghi secondi non guarda altro che lo smartphone. Non guarda, non vede la strada, fa andare l’auto alla cieca. Più e più volte al giorno e considera questo un’innocua abitudine, un diritto acquisito, un’abilità sviluppata.

E, per uno di quegli strani e ricorrenti fenomeni di strabismo concettuale, l’opinione pubblica (e in fondo anche la legge) considera colpevoli e criminali quelli che guidano ubriachi o sotto l’effetto di droghe e normali quelli che guidano impegnando occhi e mani sullo smartphone.

E invece no, l’effetto sulla guida è lo stesso. Se concentrati e sempre disponibili all’uso di ogni uso dello smartphone, è come se fossero ubriachi o “fatti”. La loro pericolosità alla guida è la stessa di chi guida sotto alcol o “fumo”. E, anche se non lo sanno e mai lo ammetterebbero, identico è il loro disprezzo e noncuranza per la sicurezza e la vita altrui.

La signora in smartphone è una figura sociale che tutti incontrano ogni giorno più volte al giorno. Occupa tutto l’incrocio con la sua auto perché una mano tiene lo smartphone, ondeggia a destra e sinistra del centro della strada per lo stesso motivo, accelera e rallenta a singhiozzo e, soprattutto, è nel suo mondo di relazioni e da lì non vuole essere disturbata dalla realtà del traffico e del prossimo.

Non è sola la signora in smartphone, con lei c’è l’autista di bus che guida mentre si fa i fatti suoi al telefonino, il camionista che fa come gli pare e avanza l’alibi “sto lavorando” come se questa condizione fosse salvacondotto per spingere fuori strada il prossimo, l’adolescente sulla macchinina, il professionista in berlina…tutti sempre e ad ogni costo connessi con i fatti loro e chi se ne frega se investi, tagli la strada, sbandi…

Viva dunque la truth-cam. Anzi ce ne vorrebbero due che non ci sono. Una per i pedoni che non guardano e marciano attaccati e concentrati anch’essi sullo smartphone e l’altra per i ciclisti che pretendono, esigono e purtroppo ottengono nei fatti di essere esentati dal rispettare ogni regola del traffico. Anzi, se glielo fai notare mentre ti stanno investendo contro mano sul marciapiede, si mostrano orgogliosamente arroganti dell’essere ciclisti. Spesso, non a caso, è la stessa signora in smartphone che si è messa la tuta.

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